La parità non è una quota, non è un colore, non è una concessione.

Pubblicato: 21/09/2025, 16:35:54 ·

Giornalista free-lance, tessera Odg 58807, cronista dal 1986 anno in cui l'Italia per la prima volta si connette a Internet La democrazia non è mai un fatto compiuto. È un processo, un cammino, un’idea che si fa carne nella storia.

Antonio Perna

Giornalista free-lance, tessera Odg 58807, cronista dal 1986 anno in cui l'Italia per la prima volta si connette a Internet

La democrazia non è mai un fatto compiuto. È un processo, un cammino, un’idea che si fa carne nella storia.

Ogni volta che ci illudiamo di averla raggiunta, essa ci sfugge e ci pone nuove domande. Perché la democrazia, nella sua essenza, non è soltanto governo della maggioranza, ma riconoscimento della dignità di ciascuno, tutela delle minoranze, apertura all’altro.

Ebbene, per secoli metà del genere umano è stata esclusa da questo cammino. Le donne hanno lavorato, amato, generato, ma non hanno governato. Non hanno scritto le leggi, non hanno amministrato il potere, non hanno occupato i luoghi dove si decidono i destini comuni. È stata la più grande contraddizione della modernità: proclamare l’uguaglianza universale, ma lasciarne fuori la metà del mondo. Rousseau, nel suo Contratto sociale, disegnava l’architettura della sovranità popolare, ma le donne non vi figuravano. John Stuart Mill, un secolo dopo, chiamava questa esclusione “l’ultima schiavitù legale”.

La Legge Golfo-Mosca del 2011 ha segnato in Italia un punto di svolta.

Tre articoli soltanto, ma sufficienti a incrinare un ordine che pareva immutabile: quello del potere economico riservato agli uomini. L’obbligo di riservare un terzo, e poi il 40%, dei posti nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali al genere meno rappresentato ha mutato la realtà. Dal 6% di presenze femminili nei board si è passati a oltre un terzo, e nei collegi sindacali le donne hanno raggiunto quasi il 42%.

Sono cifre, certo, ma sono soprattutto simboli. Dicono che la storia può essere cambiata quando la politica osa guidarla. Dicono che la legge, lungi dall’essere una camicia di forza, è un atto creativo: genera realtà nuove, costringe la società a rinnovarsi, apre spazi che prima erano chiusi.

Vi è chi contesta le quote, definendole artificiose. Ma cos’è, se non artificio, ogni costruzione civile? La democrazia stessa è un artificio: un insieme di regole che correggono la brutalità della natura e del costume. L’uguaglianza non esiste in natura; è una conquista dell’intelligenza, un’invenzione dello spirito umano.

Per questo la temporaneità della Golfo-Mosca non è debolezza ma coraggio. Essa non mira a cristallizzare un equilibrio per decreto, bensì ad avviare un processo: aprire la porta, infrangere l’uscio, e poi lasciare che la consuetudine nuova si radichi da sé. Le quote non sono la meta: sono la rampa di lancio verso un ordine più giusto.

Non è la battaglia delle donne contro gli uomini. È la battaglia di tutti, perché riguarda l’essenza stessa della democrazia. Una società che esclude metà del suo corpo civile non è soltanto ingiusta: è mutilata, incompleta, priva delle energie che le servono per affrontare il futuro. La parità, dunque, non è una concessione galante né un risarcimento. È la condizione per rendere piena la nostra libertà, più solida la nostra economia, più giusta la nostra convivenza.

La vera rivoluzione sarà compiuta quando non avremo più bisogno di leggi che ci ricordino l’ovvio. Quando la presenza femminile ai vertici non sarà più un numero da controllare, ma una realtà così naturale da non dover essere difesa. Quel giorno non avremo abolito soltanto un’ingiustizia: avremo dato compimento alla promessa originaria della democrazia.

E allora capiremo che la parità non è una quota, non è un colore, non è una concessione. È, semplicemente, la verità della libertà.

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