
Negli ultimi anni, sempre più celebrità espongono i propri figli sui social network, trasformandoli in veri e propri contenuti per generare like, follower e opportunità di business. Questa tendenza, nota come sharenting, solleva interrogativi etici e giuridici, dividendo l’opinione pubblica tra chi la considera una forma di narcisismo e chi la vede come un modo innocuo di condividere la vita familiare. Ma quali sono i rischi reali per i minori coinvolti e dove si trova il confine tra condivisione e sfruttamento?
Sharenting: una nuova frontiera della visibilità
Il termine sharenting indica la pratica di condividere online foto, video e momenti privati dei propri figli, spesso su profili pubblici e seguiti da migliaia o milioni di persone. Se in passato le celebrità proteggevano la privacy dei loro bambini dai paparazzi, oggi molti vip li espongono volontariamente, rendendoli parte integrante del proprio brand personale.
Questa tendenza non riguarda solo i personaggi famosi, ma anche influencer e genitori comuni che cercano visibilità o guadagni attraverso i social. La vita familiare diventa così un palcoscenico, dove ogni tappa della crescita dei figli viene documentata e offerta al pubblico, spesso senza che i minori abbiano voce in capitolo[1].
Quando la condivisione diventa sfruttamento
Il confine tra condivisione affettuosa e sfruttamento è sottile e spesso superato. Alcuni genitori-influencer hanno trasformato i propri figli in vere e proprie fonti di reddito, pianificando contenuti che li vedono protagonisti di video, challenge o addirittura scherzi di dubbio gusto.
Non mancano casi estremi in cui i bambini sono stati sottoposti a situazioni umilianti o stressanti per aumentare le visualizzazioni, come testimoniano alcune inchieste e scandali internazionali. In questi casi, il benessere dei minori viene sacrificato sull’altare dell’engagement, con conseguenze psicologiche e sociali ancora poco esplorate[1][2].
Le conseguenze sulla privacy e sull’identità dei minori
Esporre i figli sui social significa spesso privarli della possibilità di costruire la propria identità digitale in modo autonomo. Le immagini e i video pubblicati oggi rimarranno online per anni, potenzialmente accessibili a chiunque, con rischi per la privacy e la sicurezza dei minori.
Inoltre, la notorietà forzata può generare disagio, perdita di spontaneità e senso di pressione nei bambini, che si trovano a dover recitare un ruolo per soddisfare le aspettative del pubblico e dei genitori stessi. Alcuni ex baby influencer hanno raccontato di aver vissuto l’infanzia come un set permanente, con ripercussioni sulla loro crescita emotiva[2][3].
Il dibattito etico e la tutela dei diritti dei bambini
La questione divide profondamente l’opinione pubblica. Da un lato c’è chi difende la libertà dei genitori di condividere la propria vita, dall’altro chi denuncia la strumentalizzazione dei minori come una forma di sfruttamento moderno. Diverse autorità, tra cui il Garante per l’Infanzia, sottolineano che la notorietà dei genitori non può giustificare la violazione dei diritti dei bambini, che devono essere protetti come qualsiasi altro minore[3].
Si moltiplicano le richieste di regolamentazione e di maggiore consapevolezza, affinché la ricerca di like e visibilità non prevalga sul rispetto della dignità e della privacy dei più piccoli. Il dibattito resta aperto e destinato a crescere con l’evoluzione dei social network e delle dinamiche familiari digitali.