Anche a cinquant’anni dall'uscita della pellicola, "I tre giorni del Condor" rimane un film decisamente attuale - Il Primato Nazionale
“Facciamo l’ipotesi che nella mia tasca ci sia una 45 automatica… e che io ti chieda di fare quattro passi con me, ci vieni?” Roma, 20 set – La recente scomparsa del grande attore Robert Redford ci consente di parlare di uno dei film più politici ai quali abbia preso parte, vale a dire I tre giorni del Condor (Three Days of the Condor). Una pellicola diretta da Sidney Pollack. Senza preconcetti Facciamo una premessa su Redford: da sempre considerato attivista liberal, in realtà lo è stato molto sui generis, almeno rispetto a quello che intendiamo oggi con questo termine. Il suo interesse principale è infatti sempre stato quello di abbracciare le cause più disparate senza preconcetti (tanto che, negli anni, ha appoggiato candidati sia democratici che repubblicani), soprattutto tra i primi a battersi per la causa dei nativi con i suoi western (pensiamo a Corvo Rosso non avrai il mio scalpo!, sempre di Pollack) e per la salvaguardia ambientale non certo alla Greta. Inoltre, tramite il suo Sundance Film Festival, ha lanciato tanti autori lontano da Hollywood. Come per esempio Quentin Tarantino. Ma, più di ogni cosa, ha denunciato le storture di un sistema politico teso a schiacciare ogni forma di dissenso, come appunto con la pellicola della quale ci occupiamo oggi. Un romanzo di spionaggio Alla base della sceneggiatura di Lorenzo Sample Jr. abbiamo il romanzo di spionaggio I sei giorni del Condor, scritto nel 1974 da James Grady. Redford impersona Joseph Turner, nome in codice Condor, un modesto impiegato di un altrettanto modesto ufficio della CIA di New York. Ufficio che ha il compito di leggere giornali e libri di tutto il mondo, alla ricerca di trame o codici nascosti. Una mattina tutti gli impiegati vengono uccisi da un commando guidato da un alsaziano di nome Joubert (Max von Sydow). Ma Condor si salva, in quanto uscito a comprare la colazione. Da allora inizierà una caccia nei suoi confronti, mentre lui scoprirà che la causa del massacro era una fuga di notizie riguardante l’attività dei servizi segreti in Sudamerica, fuga di notizie scatenata inconsapevolmente proprio da lui. I tre giorni del Condor La trama potrà sembrare non propriamente originale, ma la realizzazione è presso che perfetta, con i tre giorni da braccato di Condor che scorrono in maniera totalmente claustrofobica, dove non si riescono più a distinguere gli amici dai nemici. Il finale è poi veramente angosciante, in quanto resta aperto: la vita di Condor resterà ormai per sempre quella di un braccato? Il segreto alla base della storia verrà rivelato al pubblico? Ognuno si troverà una risposta da sé. Ma quello che conta è che abbiamo assistito ad un manuale di politica americana (e forse non solo americana…), mai attuale come in questo periodo storico. Anche a cinquant’anni dalla pellicola: l’omicidio politico è una prassi più comune di quanto si pensi. Ed il cittadino medio spesso è totalmente all’oscuro di ciò che il proprio governo compie (molto probabilmente, per il suo bene è decisamente meglio così). Oltre al mostrarci quanto la lotta contro i poteri forti, ahinoi, risulti quasi sempre completamente vana. Concludiamo con due curiosità. Nel 2015 è stata realizzata anche una serie tv in due stagioni dal titolo Condor, mentre l’iconica giacca indossata da Robert Redford per larga parte del film è il pea coat della Royal Navy britannica. Roberto Johnny Bresso