Israele consegna i corpi di 45 palestinesi, ma la tensione resta altissima a Gerusalemme

Pubblicato: 05/11/2025, 08:02:055 min
Scritto da
Gaetano Logatto
Categoria: Esteri
Condividi:
#gaza #israele #internazionale #israeliano #palestinesi #ostaggi #americano #striscia
Israele consegna i corpi di 45 palestinesi, ma la tensione resta altissima a Gerusalemme

Nuovi passi nel processo di restituzione dei corpi

Nelle ultime ore, Israele ha restituito alla Striscia di Gaza i corpi di 45 palestinesi, portando a 270 il numero totale di resti consegnati nell’ambito dell’accordo di cessate il fuoco mediato dal presidente americano Donald Trump. Secondo il ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas, l’intesa prevede che Israele restituisca 15 palestinesi per ogni israeliano deceduto riconsegnato da Hamas. Le autorità israeliane hanno confermato che i resti consegnati nei giorni scorsi dal movimento islamista appartengono a tre ostaggi catturati nell’attacco del 7 ottobre 2023: Omar Neutra, Oz Daniel e Assaf Hamami. Questa dinamica, che segue un meccanismo di scambio già sperimentato in passato, rappresenta una delle poche forme di dialogo tra le parti in un contesto ancora segnato da profonda sfiducia.

L’ultimo ostaggio americano identificato e la situazione degli ostaggi

L’ufficio del premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che, dopo un processo di identificazione medico-legale, il corpo restituito da Hamas appartiene al soldato israeliano-americano Itay Chen, l’ultimo ostaggio ucciso rimasto nella Striscia di Gaza con cittadinanza statunitense. La notizia, riportata dal sito israeliano Ynet, chiude simbolicamente un capitolo doloroso per le famiglie degli ostaggi, ma lascia aperte numerose domande sul destino delle altre persone ancora detenute. La questione degli ostaggi resta centrale nella narrazione pubblica israeliana e internazionale, anche perché il loro rilascio è spesso condizione necessaria per l’avanzamento di qualsiasi negoziato.

Tregua fragile e continui raid israeliani

Nonostante la tregua sia formalmente in vigore dal 10 ottobre, Israele mantiene alta la pressione militare con raid circoscritti su Gaza City e Khan Younis. Secondo fonti locali, dall’11 ottobre a oggi sono stati uccisi almeno 240 palestinesi e feriti 607, numeri che testimoniano la fragilità dell’accordo e la persistenza di focolai di violenza. Questi episodi, spesso giustificati da Tel Aviv come operazioni preventive contro cellule terroristiche, rischiano di minare la già precaria stabilità nella regione e di alimentare ulteriori tensioni sia a Gaza sia in Cisgiordania.

Scontri e provocazioni a Gerusalemme

Parallelamente, la situazione a Gerusalemme è esplosiva. Centinaia di coloni israeliani, protetti dalla polizia, hanno preso d’assalto il complesso della Moschea di Al-Aqsa, effettuando visite guidate provocatorie e celebrando rituali talmudici. Secondo il Governatorato di Gerusalemme, 465 coloni hanno invaso i cortili della moschea, episodio che rischia di innescare una nuova spirale di violenza nella città santa. Queste azioni, percepite come una sfida diretta allo status quo del Monte del Tempio/Haram al-Sharif, sono state condannate dalle autorità palestinesi e da parte della comunità internazionale, ma sembrano godere di una certa tolleranza da parte delle forze di sicurezza israeliane.

Il futuro di Gaza tra ricostruzione e governance internazionale

Sullo sfondo delle tensioni immediate, si discute del futuro politico e amministrativo di Gaza. Gli Stati Uniti hanno presentato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu una bozza di risoluzione per l’istituzione di una forza internazionale che dovrebbe governare la Striscia per almeno due anni, con la possibilità di estendere il mandato fino alla fine del 2027. Secondo fonti citate da Axios, la risoluzione darebbe a Washington e ai paesi partecipanti un ampio mandato per offrire sicurezza e gestire la ricostruzione, con l’obiettivo di dispiegare le prime truppe già a gennaio. Tuttavia, la composizione e il ruolo effettivo di questa forza restano vaghi: Israele avrebbe già posto il veto sulla partecipazione della Turchia e sembra intenzionata a mantenere un ruolo di supervisione diretto, anche attraverso la presenza militare lungo la cosiddetta “linea gialla”, che attualmente occupa il 58% del territorio di Gaza. Il piano di ricostruzione, presentato dall’amministrazione americana ai paesi del Golfo, si concentra sulla porzione di Gaza oltre questa linea, cioè l’area orientale dove staziona e continuerà a stazionare l’esercito israeliano. La lentezza del ritiro delle truppe e l’assenza di tempistiche precise lasciano intravedere uno scenario in cui il controllo militare israeliano sulla Striscia potrebbe protrarsi a lungo, anche in presenza di una governance internazionale formale. Intanto, a Istanbul si sono incontrate delegazioni di Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Pakistan e Indonesia per discutere del futuro della regione, ma la decisione finale su chi potrà operare sul campo spetterà comunque a Israele.

Conclusioni: una pace ancora lontana

La combinazione di scambi di corpi, raid militari, provocazioni a Gerusalemme e negoziati sul futuro di Gaza disegna un quadro complesso e instabile. Mentre le parti sembrano muoversi su binari paralleli – da un lato la gestione dell’emergenza umanitaria e degli ostaggi, dall’altro la definizione di un assetto politico duraturo – la distanza tra le posizioni rimane ampia. La comunità internazionale, pur impegnata a sostenere processi di mediazione e ricostruzione, fatica a incidere su dinamiche locali dominate da diffidenza reciproca e interessi strategici contrastanti. In questo contesto, ogni passo avanti rischia di essere annullato da una nuova escalation, rendendo la ricerca di una soluzione stabile ancora più urgente e, al tempo stesso, più difficile.

Questo articolo è stato scritto utilizzando le seguenti fonti:

Commenti

Caricamento commenti…