La lista nera delle “femministe”: nell’elenco dei bersagli in chat anche Guenzi, Scurati e Trincia

Pubblicato: 01/11/2025, 14:35:014 min
Scritto da
Maria Gloria Domenica
Categoria: Spettacolo
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La lista nera delle “femministe”: nell’elenco dei bersagli in chat anche Guenzi, Scurati e Trincia

Un elenco controverso di nomi e accuse

Negli ultimi giorni è emersa una vicenda che ha acceso un dibattito acceso nel mondo dell’attivismo e del giornalismo italiano. Al centro della questione c’è una cosiddetta “lista nera” di presunte femministe, un documento digitale che raccoglie nomi di personalità pubbliche e attiviste accusate di comportamenti ritenuti inappropriati o discutibili. Tra i nomi più noti compaiono quelli di Valerio Guenzi, frontman dei Fast Animals and Slow Kids, lo scrittore Alessandro Scurati e la giornalista e documentarista Francesca Trincia. La lista è stata portata alla luce nel contesto di un’indagine della procura di Monza, che ha coinvolto anche l’attivista Valeria Fonte, indagata per stalking nei confronti di un giornalista e di un’esperta di social media. Questo documento, definito da Fonte stessa come “la lista nera”, è stato diffuso in chat private e ha suscitato preoccupazione per le modalità con cui vengono segnalate e giudicate le persone coinvolte, senza alcun processo o verifica pubblica. Il fenomeno solleva interrogativi importanti sul confine tra denuncia legittima e persecuzione, e sulle dinamiche interne ai gruppi femministi e attivisti.

Il contesto dell’indagine e le implicazioni legali

L’indagine della procura di Monza ha preso avvio da alcune denunce di stalking e molestie online, che hanno portato a un’attenzione particolare sulle modalità di comunicazione e sulle azioni di alcune attiviste. Valeria Fonte, figura centrale nel caso, ha ammesso l’esistenza della lista, ma ha sottolineato che si tratta di uno strumento di monitoraggio interno, nato per segnalare comportamenti ritenuti problematici all’interno di certi ambienti. Tuttavia, la diffusione di questo elenco ha sollevato dubbi sulla legittimità di tali pratiche, soprattutto perché i nomi inseriti non sempre corrispondono a fatti accertati, ma a sospetti o voci non verificate. Secondo gli esperti legali consultati da fonti autorevoli come Il Sole 24 Ore, la creazione e la condivisione di liste di questo tipo possono configurare reati di diffamazione e violazione della privacy, oltre a generare un clima di intimidazione che mina il diritto alla difesa e alla presunzione di innocenza.

Reazioni dal mondo culturale e mediatico

La notizia ha provocato reazioni contrastanti nel panorama culturale e mediatico italiano. Alcuni commentatori hanno espresso preoccupazione per il rischio di strumentalizzazione delle battaglie femministe, che potrebbero essere danneggiate da dinamiche interne di sospetto e conflitto. Altri, invece, hanno sottolineato la necessità di un confronto più trasparente e rispettoso, che eviti la creazione di “liste nere” e privilegi il dialogo e la verifica dei fatti. Personalità come Francesca Trincia hanno scelto di non alimentare ulteriormente la polemica, preferendo concentrarsi sul proprio lavoro giornalistico e sulle tematiche sociali. Lo scrittore Alessandro Scurati ha invece ribadito l’importanza di tutelare la propria reputazione e di affrontare eventuali accuse in sede giudiziaria, senza cedere a forme di pressione o intimidazione.

Il ruolo delle chat e dei social nella diffusione delle accuse

Un elemento cruciale di questa vicenda è il ruolo delle chat private e dei social network nella diffusione della lista. Questi strumenti, pur essendo fondamentali per la mobilitazione e la condivisione di informazioni, possono diventare veicoli di dinamiche pericolose quando vengono usati per diffondere accuse non verificate o per creare meccanismi di esclusione. Secondo un’analisi pubblicata da Repubblica, la viralità delle chat e la mancanza di filtri possono trasformare un semplice elenco in uno strumento di pressione sociale, con conseguenze gravi per le persone coinvolte. La facilità con cui si possono condividere contenuti in ambienti chiusi ma numerosi amplifica il rischio di danni reputazionali e personali, spesso senza possibilità di replica o chiarimento.

Verso una riflessione più ampia sul femminismo e la responsabilità

Questa vicenda invita a una riflessione più ampia sul femminismo contemporaneo e sulle responsabilità che derivano dall’attivismo digitale. Se da un lato è fondamentale denunciare comportamenti scorretti e promuovere un ambiente di rispetto e inclusione, dall’altro è altrettanto importante evitare che la lotta per i diritti si trasformi in una forma di giustizia sommaria. Come sottolineato da Il Fatto Quotidiano, la trasparenza, il rispetto delle procedure e la tutela dei diritti individuali devono rimanere principi guida anche nelle battaglie sociali più sentite. Solo così si può garantire un confronto costruttivo e una reale evoluzione culturale, senza cadere in meccanismi di esclusione e sospetto che rischiano di indebolire l’intero movimento.

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