Una denuncia dal cuore del sistema
La lettera inviata da Vincenzo Gennaro a *Repubblica* ha acceso un faro su una questione che riguarda molti ex collaboratori di giustizia: la pesantezza delle spese processuali dopo l’uscita dal programma di protezione. Gennaro, che ha collaborato con la magistratura per anni, racconta di essersi ritrovato con una cartella esattoriale di 54mila euro poco meno di un anno dopo aver lasciato il programma. Una cifra che, secondo le sue parole, rappresenta una condanna ulteriore, dopo anni di rinunce e rischi. “Lo Stato ha ottenuto quello che voleva, adesso si può pure morire”, scrive, evidenziando una sensazione di abbandono e ingiustizia. La sua testimonianza non è isolata. Secondo dati raccolti da esperti del settore, molti ex pentiti si trovano a dover affrontare situazioni simili, spesso senza avere la possibilità di difendersi legalmente o di ottenere un sostegno economico adeguato. La legge italiana prevede che, una volta concluso il programma di protezione, le spese legali e processuali sostenute durante il periodo di collaborazione non siano più coperte dallo Stato. Questo significa che chi decide di collaborare, spesso in condizioni di estrema difficoltà, si ritrova a dover pagare da solo le conseguenze legali delle proprie scelte.
Il peso delle spese processuali
Le spese processuali possono includere una serie di voci: onorari degli avvocati, costi di consulenze tecniche, spese di viaggio per le udienze, e talvolta anche multe o risarcimenti. Per un ex pentito, che spesso ha abbandonato il proprio lavoro, la propria famiglia e la propria identità, affrontare un simile onere economico può essere devastante. Gennaro racconta di aver vissuto in condizioni di isolamento, con la paura costante di ritorsioni, e di essersi affidato completamente allo Stato. “Quando ti chiedono di collaborare, ti promettono protezione e sostegno. Ma quando finisce tutto, ti lasciano solo con un debito enorme”, scrive. Secondo analisi pubblicate da *Il Sole 24 Ore*, molti ex collaboratori di giustizia si trovano a dover affrontare cartelle esattoriali anche dopo aver contribuito in modo determinante alle indagini su organizzazioni criminali. La normativa italiana, in particolare l’articolo 13 della legge 45/1999, prevede che le spese legali siano a carico dello Stato solo durante il periodo di protezione. Una volta usciti dal programma, la situazione cambia radicalmente. Questo aspetto è stato oggetto di critiche da parte di avvocati e associazioni che si occupano di diritti umani, che denunciano una mancanza di tutela per chi ha collaborato con la giustizia.
Il rischio di abbandono
Il caso di Gennaro solleva una questione più ampia: il rischio che lo Stato, dopo aver ottenuto informazioni preziose, abbandoni chi ha collaborato. “È come se fossimo usati e poi gettati via”, scrive l’ex pentito. Questo sentimento è condiviso da molti ex collaboratori, che si ritrovano a vivere in condizioni di precarietà, spesso senza lavoro e con la paura di essere riconosciuti. La mancanza di un sostegno economico e psicologico può portare a situazioni di grave disagio, fino alla disperazione. Secondo un rapporto dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata, molti ex pentiti vivono in condizioni di isolamento sociale e psicologico, con un alto tasso di depressione e difficoltà di reinserimento. La pressione economica aggiunge un ulteriore strato di sofferenza, rendendo difficile la ricostruzione di una vita normale. “Non si tratta solo di soldi, ma di dignità”, spiega un avvocato che segue casi di collaboratori di giustizia. “Queste persone hanno rischiato la vita per aiutare lo Stato. Meritano un trattamento diverso”.
Verso una riforma necessaria
La denuncia di Gennaro ha acceso un dibattito pubblico sulle condizioni degli ex pentiti e sulla necessità di una riforma del sistema di protezione. Esperti e avvocati chiedono che le spese processuali sostenute durante la collaborazione siano coperte dallo Stato anche dopo l’uscita dal programma, almeno per un periodo transitorio. “Non si può chiedere a una persona di collaborare con la giustizia e poi lasciarla sola con un debito insostenibile”, afferma un magistrato che ha lavorato a lungo su casi di criminalità organizzata. Alcuni parlamentari hanno già presentato proposte di legge per modificare la normativa esistente, ma finora non si è arrivati a una soluzione concreta. Nel frattempo, molti ex pentiti continuano a vivere in condizioni di precarietà, con la paura di non riuscire a far fronte ai debiti accumulati. La storia di Gennaro è un monito: il sistema di protezione dei collaboratori di giustizia ha bisogno di essere ripensato, per garantire non solo la sicurezza, ma anche la dignità di chi ha scelto di collaborare con lo Stato.
