No kings, la protesta che ha attraversato l’America

Pubblicato: 19/10/2025, 09:22:17 ·
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No kings, la protesta che ha attraversato l’America

Un sabato di piazze piene e slogan contro l’autoritarismo

Sabato scorso, gli Stati Uniti sono stati attraversati da un’onda di proteste senza precedenti. Decine di migliaia di persone hanno riempito strade, piazze e parchi in ogni angolo del Paese per partecipare ai cortei del movimento No Kings, che ha portato in strada una massa eterogenea di cittadini, attivisti, famiglie e studenti. Secondo le stime degli organizzatori, la partecipazione avrebbe superato i sette milioni di persone, cifra che rende questa giornata la più grande mobilitazione contro l’amministrazione Trump finora registrata. Le immagini provenienti da città come New York, Washington, Los Angeles, Chicago, Boston e Atlanta mostrano una partecipazione trasversale, con cartelli che recitano “Niente è più patriottico che protestare” e “Resisti al fascismo”, mentre bandiere statunitensi sventolano accanto a striscioni che rivendicano i valori costituzionali. Il movimento No Kings nasce come risposta a quella che viene percepita come una deriva autoritaria del governo federale. Negli ultimi mesi, infatti, l’esecutivo guidato da Donald Trump ha intensificato l’uso della forza pubblica per reprimere le manifestazioni, ha lanciato una campagna di espulsioni di massa e ha aumentato la pressione su gruppi di opposizione, alimentando il dibattito sulla tenuta delle garanzie democratiche. La protesta di sabato non è stata solo una risposta immediata a singoli provvedimenti, ma una presa di posizione corale contro ciò che viene visto come un attacco sistematico ai principi fondanti della democrazia americana.

Origini e simboli di un movimento trasversale

Le radici di No Kings affondano in una tradizione di resistenza civile che attraversa la storia degli Stati Uniti, ma il movimento ha assunto una dimensione nuova dopo l’insediamento di Trump per il secondo mandato. La prima grande mobilitazione, lo scorso giugno, aveva già portato in piazza circa cinque milioni di persone, secondo gli organizzatori, ma la partecipazione di sabato ha superato ogni aspettativa. Il nome stesso, No Kings, evoca la tradizione repubblicana americana, che rifiuta ogni forma di potere monarchico o assoluto, e rimanda direttamente alla Dichiarazione di Indipendenza e al preambolo della Costituzione. I simboli della protesta sono stati particolarmente significativi. Oltre ai cartelli e agli striscioni, molti manifestanti hanno portato in piazza grandi bandiere con il testo “We the People”, il celebre incipit della Costituzione, che i partecipanti potevano firmare come gesto di adesione collettiva. In alcune città, come Portland, sono comparsi costumi gonfiabili a forma di rana, diventati emblema di resistenza non violenta. L’atmosfera, in molte località, è stata descritta come quella di una festa di popolo, con musica, balli e performance artistiche che hanno accompagnato i discorsi e le letture pubbliche. La mobilitazione ha coinvolto anche le comunità americane più piccole, con cortei organizzati in centinaia di cittadine e borghi rurali, oltre che nelle metropoli. A differenza di altre proteste recenti, No Kings ha saputo unire persone di diversa estrazione sociale, politica e generazionale, accomunate dalla preoccupazione per il futuro delle istituzioni democratiche. Anche in Europa, città come Parigi, Berlino, Stoccolma e Madrid hanno visto manifestazioni di solidarietà, segno che la questione della democrazia e dei diritti fondamentali travalica i confini nazionali.

Le ragioni della protesta: autoritarismo, immigrazione e politica estera

Al centro delle proteste c’è la denuncia di una crescente concentrazione di potere nelle mani dell’esecutivo, con atti che molti considerano incostituzionali. Tra i provvedimenti più contestati ci sono la militarizzazione delle città a guida democratica, l’impiego della Guardia Nazionale per reprimere le proteste, e una campagna di espulsioni di massa condotta da agenti federali senza garanzie di due process. Queste misure hanno alimentato il timore di una svolta autoritaria, con il potere esecutivo che sembra sfidare apertamente il Congresso e la magistratura, in un contesto già reso fragile dallo shutdown federale. Un altro tema centrale è quello delle politiche migratorie. Molti cartelli e interventi hanno criticato le operazioni degli agenti federali, accusati di agire senza rispetto per i diritti fondamentali. Ad Amsterdam, ad esempio, i manifestanti hanno esposto slogan come “I like my Democracy neat. Hold the ICE”, riferendosi all’agenzia federale che gestisce le espulsioni. La questione dell’immigrazione si intreccia con quella più ampia dei diritti civili e della tutela delle minoranze, diventando un simbolo della battaglia per la difesa dello stato di diritto. Non è mancata, infine, una forte critica alla politica estera dell’amministrazione Trump, in particolare per il sostegno incondizionato a Israele durante il recente conflitto a Gaza. Alcuni manifestanti hanno accusato il governo di complicità in quello che definiscono un “genocidio”, prima della tregua mediata da Trump la scorsa settimana. Questa posizione ha diviso l’opinione pubblica, ma ha contribuito a rafforzare la mobilitazione nelle città a maggioranza progressista.

La risposta delle istituzioni e il dibattito politico

La reazione delle istituzioni e del Partito Repubblicano non si è fatta attendere. I leader repubblicani hanno bollato le proteste come “raduni di odio contro l’America”, cercando di ridimensionare la portata del movimento e di dipingerlo come estremista. Tuttavia, la partecipazione trasversale e l’atmosfera festosa di molte manifestazioni hanno reso difficile questa narrazione. Anche i media conservatori hanno riconosciuto la dimensione nazionale del fenomeno, pur tentando di sminuirne il significato politico. Dall’altra parte, i democratici e le organizzazioni per i diritti civili hanno espresso solidarietà ai manifestanti, sottolineando l’importanza della libertà di espressione e del diritto di protesta come pilastri della democrazia americana. Alcuni esponenti del Congresso hanno partecipato alle marce, mentre altri hanno rilasciato dichiarazioni di sostegno, invitando a non sottovalutare il malcontento popolare. Il dibattito pubblico si è concentrato sulla legittimità delle proteste e sui limiti dell’azione governativa. Mentre alcuni commentatori hanno parlato di “allarme costituzionale”, altri hanno sottolineato la necessità di un confronto costruttivo tra le istituzioni, per evitare che la polarizzazione sfoci in una crisi istituzionale più profonda. Intanto, la società civile sembra aver ritrovato una voce unitaria, capace di esprimere preoccupazione per il futuro della democrazia senza cedere alla tentazione della violenza.

Prospettive e sfide per il movimento No Kings

La sfida principale per No Kings sarà mantenere la coesione e la capacità di mobilitazione nel medio periodo. Se le proteste di sabato hanno dimostrato la vitalità della società civile americana, resta da vedere se questo slancio riuscirà a tradursi in un’agenda politica concreta e in una pressione efficace sulle istituzioni. La diversità dei partecipanti, se da un lato è una forza, dall’altro espone il movimento al rischio di frammentazione, soprattutto di fronte a provvedimenti divisivi o a nuove crisi. Un altro nodo cruciale riguarda la comunicazione e la narrazione pubblica. Mentre i media mainstream hanno dato ampio spazio alla protesta, i social network e le piattaforme digitali continuano a essere terreno di scontro tra narrazioni opposte. La capacità di No Kings di raggiungere anche le fasce più distanti dalla politica tradizionale sarà determinante per il successo futuro del movimento. Infine, l’attenzione internazionale rimane alta. Le manifestazioni di solidarietà in Europa e in altre parti del mondo testimoniano che la questione della democrazia negli Stati Uniti ha una rilevanza globale. Come riportato da Euronews, la mobilitazione americana ha avuto un’eco immediata anche oltreoceano, rafforzando i legami tra movimenti per i diritti civili in diversi Paesi. In conclusione, il sabato delle proteste No Kings ha segnato una pagina significativa nella storia recente degli Stati Uniti. La partecipazione di milioni di persone, la varietà dei temi sollevati e la capacità di unire cittadini di diversa estrazione sociale e politica dimostrano che la difesa della democrazia resta una priorità condivisa. Il movimento si trova ora di fronte alla sfida di trasformare questa straordinaria mobilitazione in un cambiamento duraturo, capace di incidere sulle scelte delle istituzioni e di riaffermare i valori fondanti della Repubblica.

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