Il nostro ministro degli Esteri lo scelgono gli Stati Uniti, quello dell'Economia lo sceglie l'Europa. La politica? Uno specchietto per le allodole. Conte non ha sfiduciato la von der Leyen perché non voleva "rovinare il suo rapporto personale con lei". Sulle guerre non abbiamo nessuna sovranità: decide una guerrafondaia non eletta. Il Sud Italia è una Colonia interna. Vi spiega tutto in Caino e Abele, Piernicola Pedicini, europarlamentare già M5S dal 2014 al 2024. Vi racconterà dieci anni a Bruxelles tra mozioni di sfiducia, guerre e avverte sul grande potenziale politico che cova del Mezzogiorno. Solo a Mezzora con Messora. Solo su Byoblu.

C’è un filo sottile che lega le stanze del potere europeo alla questione meridionale italiana. Un filo che Piernicola Pedicini ha seguito per dieci anni, dal 2014 al 2024, come europarlamentare del Movimento Cinque Stelle, prima di abbandonarlo a metà del secondo mandato per “incompatibilità politica”. Oggi, lontano dai riflettori ma non dalla riflessione politica, Pedicini racconta a Byoblu cosa ha visto davvero nel cuore di Bruxelles, là dove i giornalisti non arrivano e dove si decidono miliardi senza che nessuno se ne accorga.
Il voto a Von der Leyen e la prima rottura
La prima crepa nel rapporto tra Pedicini e il Movimento Cinque Stelle si aprì proprio sul nome di Ursula von der Leyen. “Noi eravamo andati là con un’idea molto diversa” spiega Pedicini: “eravamo contro il potere e non potevamo certo sostenere chi rappresenta il potere in Unione Europea. Tra l’altro adesso è più chiaro a tutti chi è la von der Leyen, ma al tempo non era così chiaro perché si sanno vendere molto bene e parlavano molto bene dello sviluppo sociale che avrebbe avuto l’Europa, dell’attenzione per l’ambiente.“
Chi si era informato, però, sapeva che erano tutte balle. Il Movimento Cinque Stelle votò a favore della von der Leyen, facendo la differenza per nove voti. Pedicini, insieme a Ignazio Corrao e Rosa D’Amato (che si astenne), votò contro. “Per pochi voti io e i miei compagni di rottura non riuscimmo a essere determinanti. Sarebbe stata un’ottima cosa, una cosa da Movimento Cinque Stelle, votare contro la von der Leyen, ma il Movimento Cinque Stelle era già cambiato all’epoca, non era più quello.“
La mozione di sfiducia che non ci fu
Il momento della verità arrivò con la mozione di sfiducia a von der Leyen. Per presentarla servivano 72 firme, il 10% dei parlamentari. Pedicini riuscì a raccoglierne circa 50. “Se il Movimento Cinque Stelle l’avesse appoggiata, avremmo fatto una mozione di sfiducia. Forse non sarebbe stata sfiduciata, la von der Leyen, ma ne sarebbe scaturito un dibattito al Parlamento europeo sulla consistenza politica di quello che stava avvenendo.“
Le ragioni c’erano tutte: la gestione fallimentare del Covid, la scelta del percorso della guerra, l’industria degli armamenti che “sta prendendo con la forza tutto il denaro anche della parte di coesione europea. Il bilancio dell’Unione Europea oggi è essenzialmente dedicato all’industria bellica“. Ma il Movimento non firmò. “Alcune persone del Movimento Cinque Stelle mi dissero che Conte non voleva guastare il proprio rapporto nei confronti di von der Leyen” rivela Pedicini. “Se tu metti la firma, se tutti i tuoi mettono la firma, è chiaro che quella è una scelta politica che ha una responsabilità. In quel momento venne fuori la verità: loro avevano deciso scientemente di essere dalla parte di von der Leyen“.
Chi sceglie davvero il Ministro degli Esteri e il Ministro dell’Economia in Italia?
Messora solleva una questione cruciale: “A Roma non muovi un passo senza avere almeno trenta giornalisti intorno. A Bruxelles si fanno invece commissioni incredibili dove si decidono miliardi, ma esci dalla porta e non c’è un giornalista“.
La risposta di Pedicini è lapidaria: “Non bisogna disturbare il manovratore. Basta guardare quello che succede ogni volta che cambia un governo in Italia: il ministro degli Esteri lo scelgono gli Stati Uniti, il ministro dell’Economia lo sceglie l’Europa. Quando hai sistemato queste due politiche, cioè quelle che contano davvero, il resto lo potete fare anche voi. Ma rimane poco, niente da fare veramente, perché quella è la consistenza politica: la politica estera e la politica economica.“
Fuck the EU! Ecco cosa disse la diplomatica Usa in Ucraina
Sul conflitto in Ucraina, Pedicini fu tra i primi a sollevare il tema delle responsabilità occidentali, quando “tutto il Parlamento, all’unisono, sosteneva Zelensky e nessuno si era mai chiesto se davvero ci fosse anche una notra responsabilità“.
E qui l’ex europarlamentare ricostruisce la cronologia: “Bastava conoscere un po’ di storia, anche recente. Gli Stati Uniti hanno cospirato affinché cambiasse il governo in Ucraina quando c’era Yanukovich, che era stato democraticamente eletto. Victoria Nuland era stata pagata per architettare il cambio di regime in Ucraina. Ci sono ancora al Congresso degli Stati Uniti gli stanziamenti per lei“.
Quando Nuland disse al sottoposto ucraino che bisognava nominare ministri provenienti da Svoboda (ndr: il partito Nazional Socialista Ucraino) e Pravy Sector (ndr: movimento politico e paramilitare ucraino di estrema destra, nato durante le proteste di Euromaidan – 2013-2014 – come coalizione di vari gruppi ultranazionalisti e neonazionalisti), e il sottoposto ucraino obiettò che l’Europa si sarebbe arrabbiata, la risposta fu: “Fuck the EU” – che si fotta l’Europa. “E infatti” commenta Pedicini, “l’Europa si è fottuta da sola, in tutto questo, perché gli Stati Uniti hanno fatto affari, la Russia nonostante le sanzioni è cresciuta, ha sviluppato il suo PIL ed è uscita dalla crisi economica, mentre noi europei abbiamo pagato le sanzioni“.
Il risultato? “Centinaia di migliaia di vittime, non soltanto civili. Anche i militari per me sono vittime, perché sono vittime delle scelte di questi personaggi“.
Palestina: il genocidio che i parlamenti non vedono
Anche su Gaza, Pedicini fu tra i primi a dire che “Hamas andava assolutamente combattuto con tutti i mezzi possibili, ma Netanyahu dall’altra parte sarebbe stato quello che poi è diventato evidente a tutti“.
“Oggi la gente scende in piazza in tutto il mondo” osserva, “dimostrando che qui siamo nel pieno di una crisi della rappresentanza democratica. La gente scende in piazza, e anche quelli che non scendono sono profondamente in disaccordo con quello che vedono accadere davanti ai loro occhi: un genocidio vero e proprio. Nonostante questo, i parlamenti e i governi sono a favore di Israele. O con il silenzio, come il governo italiano e molti altri, o con il sostegno all’invio delle armi, come il governo italiano e pochi altri“.
Due anni sono passati, “sono state ammazzate tante persone innocenti“, mentre al Parlamento europeo si è parlato solo di sanzioni simboliche. “Nessuno vuole giustificare Hamas, ci mancherebbe! Ma non si devono neanche creare le condizioni affinché il terrorismo prevalga, perché il terrorismo è il risultato di anni di prevaricazioni, di colonialismo reale. Non è il 7 ottobre 2023 che inizia la storia di Israele“.
Dieci anni a Bruxelles: la politica serve davvero?
Messora ricorda che oggi c’à una grande disaffezione nei confronti della politica. E allora chiede a Pedicini, che ha passato dieci anni come europarlamentare a Bruxelles: “Hanno ragione? La politica serve o è solo commedia dell’arte?“.
Pedicini risponde con la disillusione di chi l’ha vissuta dall’interno: “Sono arrivato alla convinzione, dopo undici anni, che in effetti quelle persone hanno ragione. La maggior parte delle ragioni ce le hanno le persone che pensano che queste istituzioni siano soltanto uno specchietto per le allodole“.
E spiega perché: “Nessuno sa, o pochissimi sanno, che i parlamentari europei, quelli eletti direttamente dai cittadini, non possono intervenire, non hanno nessuna voce in capitolo sulla questione delle guerre. La politica estera europea è di competenza dell’Alto rappresentante degli affari esteri, e neanche von der Leyen potrebbe decidere, perché il processo legislativo ordinario non c’entra nulla“.
Sono solo i governi a orientare la politica estera europea. “I parlamentari, cioè quelli eletti dal cittadino direttamente per cambiare, non possono fare nulla. Le risoluzioni sono solo di indirizzo, delle quali l’Alto rappresentante – in questo momento Kaja Kallas, una guerrafondaia vera [qui il suo profilo] – se ne può fregare altamente“.
Caino e Abele: la maledizione del Sud
Nella seconda parte dell’intervista si entra nel cuore del nuovo libro di Pedicini, “Caino e Abele. La maledizione del Sud, come la scienza e la politica si sono alleate per mantenere il Sud Italia nello stato di colonia interna“. Un titolo che non è casuale, perché parla di un fratricidio che dura da 160 anni.
“La questione meridionale non è soltanto una questione italiana, ma è una questione territoriale europea“, esordisce Pedicini. “Una questione che non soltanto non è stata mai risolta, ma che si allarga sempre di più“.
Il confronto con altri Paesi è impietoso: “La Germania ha risolto uno dei maggiori divari territoriali in poco più di vent’anni, quello tra la Germania dell’Ovest e la Germania dell’Est. In Belgio c’è la parte dei valloni e dei fiamminghi, che si sono ammazzati nella storia per secoli, ma hanno capito che stando insieme, anche se non necessariamente all’interno di un matrimonio felice, avrebbero avuto convenienza da una parte e dall’altra. L’unico divario territoriale che nel tempo, nonostante le politiche di coesione, è cresciuto è quello italiano“.
Il colonialismo interno: il criterio della spesa storica
Pedicini usa un termine forte: colonialismo interno. E lo dimostra con una legge che pochi conoscono: il criterio della spesa storica, una legge del 1977. “In Italia si è deciso, dopo la seconda guerra mondiale, col Piano Marshall, di ripartire con la teoria della locomotiva: facciamo sviluppare un territorio più del resto, così poi trascina lo sviluppo degli altri territori. Ma è avvenuto il contrario“.
La ragione è da ricercarsi nelle economie di scala: “Quando fai sviluppare un territorio, con le infrastrutture e tutto lo sviluppo sociale intorno, le economie di scala e di agglomerazione fanno sì che non siano le imprese a spostarsi dove c’è il lavoro. Sono gli uomini, le persone e il lavoro che si spostano verso le imprese“.
E qui arriva l’esempio che fa capire tutto: “Reggio Emilia, 170.000 abitanti, ha 63 asili nido pagati dallo Stato. Reggio Calabria, 180.000 abitanti, ne ha soltanto tre. Se Reggio Calabria domani volesse chiedere il suo quarto asilo nido non potrebbe farlo, perché lo Stato paga i 63 a Reggio Emilia e i 3 a Reggio Calabria, ma non può dare il quarto a Reggio Calabria per rispettare il criterio dell’invarianza della spesa”. L’invarianza della spesa, nel criterio di riparto della spesa pubblica dallo Stato alle Regioni, fa sì che l’ammontare complessivo delle risorse stanziate dallo Stato non possa cambiare, anche se cambia il criterio di distribuzione tra le diverse Regioni. A questo si aggiunge Il criterio della spesa storica , che consiste nel distribuire i trasferimenti statali alle Regioni sulla base di quanto hanno speso in passato per fornire determinati servizi (sanità, trasporti, istruzione, ecc.).
Questo impatta drammaticamente su tutta l’economia proporzionale ai servizi che vengono o non vengono erogati: “le persone che lavorano negli asili, le mense, le istruttrici, la mobilità pubblica, le mamme libere di andare a lavorare…“. Il criterio della spesa storica cristallizza le disuguaglianze: chi ha avuto di più continua ad avere, chi ha avuto di meno continua a non avere.
Le teorie razziste travestite da scienza: le “tare genetiche dei meridionali”.
Il libro affronta anche un tema sconcertante: le teorie pseudoscientifiche che giustificano il sottosviluppo meridionale con presunte tare genetiche. Pedicini cita Richard Lynn, uno scienziato inglese morto nel 2022 che “ha associato il quoziente intellettivo alla produttività dei popoli“.
Secondo Lynn, “I popoli inglesi, i popoli del nord Europa, il nord Italia, il Giappone e la regione est-asiatica sono quelli più intelligenti“, mentre i meridionali avrebbero un quoziente intellettivo più basso. “Le influenze e le mescolanze avvenute con il Nord Africa avrebbero indebolito la forza genetica della popolazione del Sud Italia. La conseguenza sarebbe una scarsa produttività, che deriverebbe da un quoziente intellettivo più basso“.
“Eugenetica hitleriana?“, punge Messora.
“Sì, tra l’altro senza conoscere neanche la storia“, risponde Pedicini. “I meridionali sono il frutto di un miscuglio genetico che forse nessuno ha al mondo. Siamo stati dominati dai Longobardi, dagli Svevi, dai Normanni, dagli Spagnoli, dai Borbone che erano di origine francese. Il Sud Italia è stato più francese che italiano: siamo italiani da poco più di 160 anni, ma siamo stati più francesi“.
Ma c’è un motivo economico dietro queste teorie: “Se uno Stato vuole promuovere il proprio sviluppo e sa che la parte più produttiva è concentrata su un territorio, è come se fosse legittimato a spendere di più nella parte più produttiva. Così si sottrae alla responsabilità di recuperare il divario“.
Le guerre di oggi le paga il Sud!
Il cerchio si chiude tornando alle guerre. “Ogni volta che si innesca un’economia di guerra, a pagare di più sono i territori più poveri” spiega Pedicini. L’esempio delle sanzioni alla Russia del 2014 è illuminante: “Le sanzioni vengono calcolate in maniera simmetrica – tutti gli Stati partecipano in proporzione alla popolazione – ma la Russia si è rivalsa verso l’Europa in maniera asimmetrica. La Russia non aveva ineressi nei confronti dell’Olanda o del Nord Europa. Ma era interessata all’Italia, ai prodotti italiani, e chi ha colpito di più è stato proprio il Sud Italia, perché i migliori collegamenti commerciali con la Russia erano quelli del Sud“.
Oggi, “gli 800 miliardi dell’industria degli armamenti sono tolti per la maggior parte alle politiche di coesione, che servivano proprio a recuperare i ritardi territoriali. Quindi paga il Sud“.
La conclusione
Al termine dell’intervista, Pedicini presenta “Caino e Abele” come un’analisi dell’impatto delle politiche europee sul Meridione d’Italia, del colonialismo interno, “ma soprattutto della forza che saprebbe esprimere il Meridione d’Italia per uscire da questa situazione. C’è una grande forza politica, una forza popolare che non è ancora stata raccolta dai partiti, ma che vuole uscire“.
Resta da chiedersi se questa grande forza di popolare troverà mai rappresentanza in istituzioni che, come ha sperimentato Pedicini in dieci anni, sono “soltanto uno specchietto per le allodole“. O se, più semplicemente, il sistema è stato progettato proprio per neutralizzare ogni tentativo di cambiamento reale, lasciando ai parlamentari il compito di recitare una parte scritta da altri, mentre il manovratore – quello vero – non va mai disturbato.
Nel frattempo, il Sud continua a pagare il conto delle guerre altrui e delle teorie che lo vogliono geneticamente inferiore. E il Parlamento europeo continua a decidere di miliardi, senza un giornalista alla porta.