I timori nello stabilimento bolognese ex Weber: “Ora si fa tutto in India, costa meno”. Così tecnici specializzati e manodopera d’eccellenza scelgono Ferrari e Lamborghini
La catena di produzione di Magneti Marelli Sotto: un corteo sindacale degli anni Settanta e una recente protesta degli operai bolognesi
Bologna, 22 settembre 2025 – La Motor Valley perde pezzi. Qui nel cuore dell’Emilia, dove il rombo di Ducati e Lamborghini è familiare, c’è chi si sente con il cuore appeso a trimestrali di cassa anziché a prodotti industriali d’avanguardia. Siamo in via Timavo, periferia nord-ovest di Bologna, allo stabilimento Marelli che ancora in tanti chiamano Weber.
UNA STORIA GLORIOSA
Creata da Edoardo Weber, ex operaio Fiat, racconta la storia gloriosa di carburatori da Formula uno che facevano correre come il vento auto e produzioni. Marco Monesi, operaio da 31 anni alla ex Weber ora Marelli, ha gli occhi lucidi quando ne parla: “Era motivo d’orgoglio essere assunti qui. Era un posto prestigioso, oggi, invece, domina la preoccupazione”.
Nelle settimane che hanno visto il gruppo Marelli passare ai creditori per mancanza di acquirenti, sembra tutto un altro film. Oggi il colosso della componentistica auto che impiega 46mila lavoratori nel mondo, 6mila dipendenti in Italia e 570 a Bologna nello stabilimento di via Timavo, prevede, infatti, di uscire dal Chapter 11, la procedura di fallimento americana, nel 2026 “sotto la proprietà dei suoi principali finanziatori”. E quindi, il fondo Strategic value partners (Svp), accanto a Deutsche Bank, MBK Partners, Fortress Investment Group e Polus Capital Management.
IL GRUPPO
Una prospettiva che preoccupa (e non poco) i sindacati per le ricadute sugli stabilimenti del territorio. Dieci in tutta Italia, tra i quali ’il cervello’ bolognese che si occupa di ricerca e sviluppo e prototipi, occupando circa 570 lavoratori. Erano mille prima degli anni 2000, quando il sito aveva ancora il reparto produzione, e la Magneti Marelli era di proprietà dell’ex Fiat.
Stefano Ruggenini è da 40 anni in azienda. E ne ha viste tante. “Oggi è tutto un altro mondo, sono partito dai carburatori della Weber, ora ci troviamo di fronte a computer su quattro ruote. Ma è tutto complicato: i prodotti si fanno nel sito di Corbetta (Milano), l’hardware viene progettato vicino a Torino, software e validazione spettano a noi, a Bologna. Ma ora tutto questo viene fatto anche in India per la questione del costo del lavoro... Così tanti ingegneri se ne vanno dalla Marelli per approdare in Ferrari, in Ducati o in Lamborghini. E non vengono rimpiazzati. Che futuro possiamo avere?”.
IL DECLINO
Il pensiero va alla ex Marelli di Crevalcore, una trentina di chilometri da Bologna, che dopo anni di battaglie contro la chiusura è stata venduta alla piemontese Tecnomeccanica e oggi anziché 250 lavoratori si accontenta di 150.
Un declino, quello della Marelli bolognese e del gruppo in generale, legato alla crisi dell’automotive, i costi della transizione green e tutto il contesto geopolitico tra dazi e conflitti, che peggiora una situazione già nera di suo. Ma c’è chi va oltre il contesto. E indica “l’origine di tutti i mali nella decisione dell’ex Fiat e Fca, oggi Stellantis, di liberarsi del colosso della componentistica auto”. Non ha dubbi Mario Garagnani, responsabile automotive della Fiom-Cgil di Bologna, sempre in prima linea in tutte le battaglie: “Quando Stellantis si è fusa coi francesi di Psa hanno ridotto le commesse a Marelli concentrandosi di più sui fornitori d’Oltralpe”.
IL LEGAME CON L’EX FIAT
E dire che il rapporto Marelli-Fiat fino al 2019 era stato strettissimo. La svolta arriva, infatti, il 2 maggio di sei anni fa, quando Fca cede la Magneti Marelli alla Ck Holdings Co., holding del fornitore giapponese di componentistica Calsonic Kansei Corporation (controllato dal fondo americano Kkr) per circa 5,8 miliardi di euro.
Da quel momento Magneti Marelli diventa solo Marelli, e quindi un mega gruppo internazionale presente con 150 siti in 23 Paesi. Di quella storia gloriosa che vide nel sodalizio Marelli-Fiat la creazione del primo cambio robotizzato per vetture di Formula 1 alla fine degli anni Ottanta, resta poco.
LE PROSSIME TAPPE
Le istituzioni del territorio chiedono “garanzie” in vista dell’incontro di ottobre su Marelli al ministero delle Imprese e del Made in Italy, la Fiom-Cgil teme “spezzatini aziendali”, mentre la Fim-Cisl ripete come un mantra la “necessità di progetti industriali”.
Finora, in effetti, le plusvalenze hanno avuto la meglio sui prodotti. Stellantis si muove tra Amsterdam e Parigi, le commesse per Marelli diminuiscono e pure l’attuale Tecnomeccanica di Crevalcore che pensava di essere uscita dal tunnel rischia ricadute indirette dalla crisi del colosso della componentistica.
Insomma, come negli amori tossici dove la troppa dipendenza è il collante, anche qui la dinamica è la stessa.
Se poi ci metti il terzo incomodo, la costosa transizione elettrica, tutto si complica. A salvarsi, in questo mondo di motori malato, il lusso. Che già ha iniziato ad attrarre menti, cervelli e manodopera d’eccellenza dell’ex Weber.
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