"Così ci prepariamo a resistere". Intervista esclusiva all'analista politica venezuelana Carolina Escarrá
di Carlos Aznárez, Geraldina Colotti
Nel nostro programma settimanale, “Abre Brecha Venezuela”, abbiamo avuto il piacere di ospitare Carolina Escarrá, un'intellettuale venezuelana con un curriculum impressionante che include una vasta esperienza in ambito accademico, diplomatico e giornalistico. Oltre a insegnare in diverse università, Carolina è parte del vicerettorato di ricerca della UICOM, l'Università Internazionale della Comunicazione diretta dalla rettrice Tania Díaz. Politologa e consulente per diverse istituzioni, è attualmente la direttrice della Scuola di Formazione Integrale Dottor Carlos Escarrá Malavé dell'Assemblea Nazionale (EFICEM), una scuola dedicata a suo padre, un eminente giurista venezuelano. Ecco la versione ampliata dell'intervista.
Benvenuta, Carolina, ad "Abre Brecha". Come sai, questo è un programma il cui obiettivo principale è difendere la Rivoluzione Bolivariana e, soprattutto, renderla visibile in questi momenti così difficili, non solo per il Venezuela ma per il mondo intero. Volevamo iniziare chiedendoti, alla luce della grande aggressione che il Venezuela sta subendo da parte degli Stati Uniti, come vedi la risposta del popolo venezuelano e della sua direzione rivoluzionaria, che non ha perso tempo nel "prendere il toro per le corna" e affrontare l'aggressione per quello che è realmente: una provocazione di grandi dimensioni, nonostante molti cerchino di minimizzare ciò che sta accadendo.
Benvenuta, Carolina, ad "Abre Brecha". Come sai, questo è un programma il cui obiettivo principale è difendere la Rivoluzione Bolivariana e, soprattutto, renderla visibile in questi momenti così difficili, non solo per il Venezuela ma per il mondo intero. Volevamo iniziare chiedendoti, alla luce della grande aggressione che il Venezuela sta subendo da parte degli Stati Uniti, come vedi la risposta del popolo venezuelano e della sua direzione rivoluzionaria, che non ha perso tempo nel "prendere il toro per le corna" e affrontare l'aggressione per quello che è realmente: una provocazione di grandi dimensioni, nonostante molti cerchino di minimizzare ciò che sta accadendo.
Prima di tutto, grazie per l'invito. È un onore per me partecipare a questo programma. Per quanto riguarda la reazione del Venezuela, non solo abbiamo 4,5 milioni di miliziani e 8 milioni di persone che si sono arruolate recentemente, ma è già iniziato l'addestramento militare per tutte e tutti. Siamo passati dalla fase di lotta pacifica a quella di preparazione per la lotta armata, perché sappiamo di trovarci di fronte all'arroganza di un imperialismo in declino, ma che è capace di qualsiasi cosa.
Il sociologo portoricano Ramón Grosfoguel parla dello scontro tra due classi capitalistiche: la classe capitalista transnazionale, quella di Davos, e la classe capitalista fascista. Una vuole eliminare gli Stati-nazione, l'altra vuole mantenere l'egemonia degli Stati Uniti, manovrando i fili dell'Unione Europea e del Giappone, come descriveva Samir Amin, per l'alleanza occidentale. Il Giappone è stato un po' titubante e si sta avvicinando alla Cina, ma l'Unione Europea si è completamente inginocchiata di fronte a tutte le direttive del magnate Trump e del suo accolito Marco Rubio: perché alla fine è questo che vuole questa combriccola. "MAGA", Make America Great Again, significa che gli Stati Uniti vogliono tornare ad essere l'egemone, come lo erano negli anni '90, con il concetto della "fine della storia" e la caduta del socialismo reale.
A quel tempo, solo Chávez e Fidel alzavano la bandiera della multipolarità, mentre il resto del mondo era allineato a questa narrazione. Questo è ciò che Trump vuole oggi, ed è ciò che vuole quella classe capitalista che lo accompagna con le sue aziende transnazionali e i suoi fondi di investimento. Infatti, uno dei più favoriti da tutto questo, specialmente per il canale di Panama, è stato BlackRock.
Ma dietro a questi fondi di investimento, ci sono anche i traffici transnazionali più importanti, come il narcotraffico, il traffico di armi e il traffico di persone. Il loro unico affare legale, tanto importante quanto i precedenti, come diceva Julio Escalona, è proprio il business dell'energia e del petrolio, ed è questa la ragione per cui stanno facendo tutto questo.
Durante la campagna elettorale, Trump diceva: "Noi avevamo già il Venezuela in tasca, che è successo? Ora Biden sta negoziando il petrolio venezuelano, ma il petrolio non era già nostro?". Loro si arrogano il diritto di considerare non solo il Venezuela, ma tutta l'America Latina, come il loro cortile di casa.
Hanno anche bisogno del petrolio perché il loro affare del gas con l'Europa sta crollando da quando la Russia ha creato un gasdotto con la Cina. Il Venezuela si trova sulle più grandi riserve di petrolio del mondo. Hanno provato a uccidere Maduro. Sono convinta che abbiano ucciso Chávez. Gli hanno inoculato il cancro nel 2011, e nel 2012 il Venezuela viene certificato come il paese con le maggiori riserve di petrolio del mondo. Poi hanno raddoppiato la posta nel 2013.
Non sono riusciti a inoculare il cancro a Nicolás Maduro né a ucciderlo. Tuttavia, hanno provato tutte le vie possibili perché hanno capito una cosa con Chávez: non si uccide l'idea uccidendo la persona. Non riescono a capirci, perché hanno una sola mentalità, quella dell'élite anglosassone e protestante che non vive la realtà del popolo statunitense, che per la maggior parte è immerso nelle droghe, nell'ignoranza e nella mancanza di accesso all'istruzione e alla sanità.
Alla fine, come dicono gli analisti internazionali, il loro obiettivo è la diminuzione della popolazione, non solo a livello mondiale, ma anche negli Stati Uniti, perché questo gli permette un maggiore controllo delle loro aziende che, in gran parte, non producono, ma esportano capitale. Dico sempre che la migliore spiegazione dell'imperialismo oggi è quella di Lenin, che parlava della spartizione del mondo e dei monopoli. Alla fine, dietro a tutto questo c'è un tema economico e finanziario.
In questo contesto, il presidente Nicolás Maduro ha dichiarato che dobbiamo prepararci per una lotta armata, anche se non vorremmo. Ha convocato una Conferenza internazionale per la sovranità e pace, specialmente con i paesi della CELAC e dell'America Latina. Abbiamo una nave da guerra nucleare nelle nostre acque, sono state almeno tre le imbarcazioni attaccate. Stanno agendo da folli, e noi in Venezuela dobbiamo prepararci per questa situazione.
Più di 8 milioni di persone si sono arruolate per difendere il paese e abbiamo iniziato questa campagna di addestramento. Ci stiamo preparando non solo a livello teorico, ma anche con elementi pratici e di logistica per la vita in caso di lotta armata. Stiamo lavorando su tutti gli elementi legati alla possibilità che entrino nel paese, qualcosa che hanno già tentato con l'Operazione Gedeón.
Le nostre autorità dicono che se mai ci riusciranno, "entreranno, ma non potranno uscire", perché non sono abituati a questo tipo di risposta. Il presidente Nicolás Maduro e il ministro Cabello hanno detto che potrebbe trasformarsi in un nuovo Vietnam e io direi persino in una Siria per molti anni. Il loro obiettivo è probabilmente dividere il Venezuela, frammentare il paese.
La guerra di nuovo tipo è anche guerra cognitiva, per cui, anche attraverso l'uso dell'Intelligenza Artificiale, è difficile distinguere tra realtà e finzione. Lo abbiamo visto con il video diffuso dagli Stati Uniti sull'attacco a una prima nave nelle acque dei Caraibi. Come si riflette sulla "guerra cognitiva" all'Università Internazionale della Comunicazione, un luogo che è nato proprio dall'indennizzo riconosciuto dai tribunali a Diosdado Cabello per essere stato calunniato ingiustamente dal giornale El Nacional come presunto capo del Cartello dei Soli?
Non si tratta solo di affrontare la guerra cognitiva o di mostrare alla popolazione come la stanno manipolando. È importante dire che io mi dedico alla ricerca, analizzando ciò che dicono i loro "think tanks", e constato che nemmeno i loro più irriducibili sono a favore di questa mossa militare del presidente Trump e Marco Rubio. Anche i loro stessi centri di pensiero non sono d'accordo con un'invasione militare.
All'Università Internazionale della Comunicazione, non ci limitiamo a formare le persone o a dire ciò che sta succedendo. La nostra rettrice, Tania Díaz, è la vicepresidente delle Relazioni Internazionali del Partito Socialista Unito del Venezuela ed è stata la vicepresidente della formazione del PSUV. Attraverso questo strumento, si diffonde la verità nel mondo. Tania ha un programma di grande impatto, chiamato "Sin Truco Ni Maña", che ha creato inizialmente con il ministro Diosdado Cabello per portare l'informazione al resto del mondo.
Si sta facendo un lavoro molto importante. Io invio un rapporto settimanale a una radio in Argentina, Radio Futura, scrivo per Sputnik, appaio su RT e Telesur, che sta facendo un lavoro importantissimo a livello internazionale, raccontando la verità su ciò che sta accadendo in Venezuela. C'è una vera e propria ritorsione dal punto di vista comunicativo, perché questo fa parte della guerra. Anche per questo ci stiamo preparando, ma in questo ambito avevamo già iniziato a lavorare da tempo. Ora, la novità è che siamo in una fase offensiva, specialmente sul piano comunicativo, ma ci stiamo anche preparando per una lotta armata perché sappiamo che dobbiamo essere pronti a difendere il nostro paese con le unghie e con i denti.
Un altro aspetto che ci sembra importante, e di cui lei si occupa a fondo, è la situazione della Guayana Esequiba, un territorio conteso in cui il governo della Guyana permette alle multinazionali statunitensi di effettuare trivellazioni illegali. Anche da lì, come ha avvertito Nicolás Maduro, si sta allestendo una piattaforma di aggressione costante contro il Venezuela. Cosa ne pensa?
Tutta la situazione fa parte di un piano più ampio. Pensavo che avrebbero concentrato lo sviluppo militare nei Caraibi fino alle elezioni in Guyana, ma il presidente Irfan Ali è stato riconfermato e loro sono rimasti. Secondo le loro stesse leggi, hanno solo 60 giorni prima di andarsene, vedremo se rispetteranno queste loro leggi. Ma la questione della Guyana è di grande interesse per loro, perché se non riescono a ottenere il petrolio del Venezuela con questa azione militare, stanno comunque già sfruttando il petrolio che si trova in quella zona ancora da delimitare.
È importante dire che non c'è solo una disputa territoriale, ma anche una discussione su come dividere le zone marittime. Loro vogliono impadronirsi di tutto il petrolio che si trova nell'Atlantico e in quella zona, e sono già entrati in acque che sono indiscutibilmente venezuelane con le loro piattaforme petrolifere.
C'è qualcosa di molto importante da dire. Durante la Quarta Repubblica, le royalties erano minime in questo paese. Il presidente Chávez disse che non solo il petrolio della Fascia Petrolifera dell'Orinoco non era bitume e che lo avremmo certificato come petrolio, qualcosa che è stato raggiunto nel 2012, ma che non potevamo regalarlo. Pertanto, abbiamo creato aziende miste con le imprese che volevano venire a sfruttare il nostro petrolio. Si può vendere petrolio a chiunque, ma deve essere pagato.
Ora le royalties non sono più del 2%. La differenza con la Repubblica Cooperativa di Guyana è che loro hanno raggiunto un accordo nel 2016 con la ExxonMobil per cui hanno solo il 2% delle royalties; di fatto, meno del 2% perché a quel 2% si sottrae ciò che viene investito in quel momento. Si tratta di una cifra irrisoria per la popolazione guyanese, ma per loro è tantissimo perché non erano abituati. La popolazione nel territorio conteso della Guayana Esequiba non è mai stata considerata, e non lo è nemmeno in questo momento. Per questo, hanno anche votato per eleggere un governatore nella nostra Guayana Esequiba.
Molti media internazionali, che fanno parte di questa classe capitalista transnazionale, manipolano l'informazione. C'è un eccellente libro di Robert Phillips, del 2018, che esamina il profilo e le attività di 389 persone, mostrando i loro legami con fondi di investimento, università, think tank, compagnie petrolifere e minerarie, mezzi di comunicazione, aziende di armamenti e di sicurezza, anche di mercenari. Spiega come queste 389 persone, che in fondo dominano il mondo, sono le stesse che si trovano a Davos. Molte di esse non sono d'accordo con lo Stato-nazione, né con gli Stati Uniti come egemone, ma vogliono gestire le cose attraverso città speciali che stanno creando, gestite da robot. È uno scontro molto interessante quello che si sta producendo negli Stati Uniti tra repubblicani e democratici, tra le élite e il popolo statunitense, e tra due élite transnazionali capitaliste che sono in pieno conflitto.
Lei è direttrice della Scuola di Formazione Integrale Carlos Escarrá Malavé dell'Assemblea Nazionale (EFICEM). Che eredità ha lasciato questo eminente costituzionalista, considerato uno dei 5 uomini più vicini a Chávez, e cosa significa per lei, sua figlia, difenderlo in questo momento in cui la rivoluzione bolivariana, di nuovo sotto attacco, vuole avanzare verso la costituzione dello Stato comunale, e si sta preparando una nuova discussione sulle possibili modifiche costituzionali?
La cosa più importante che ha lasciato mio padre, il dottor Carlos Escarrá Malavé, è un'eredità che mi sono impegnata a mantenere viva. Non ho scritto molto di mio pugno, ma mi sono dedicata a diffondere il suo lascito. Credo che la sua eredità sia fondamentale perché ha lavorato molto per il potere popolare. Uno dei libri più belli che ho pubblicato di lui, nel 2015, si intitola "Basi Giuridiche e Politiche del Potere Popolare". Lui considerava che la legge dovesse essere uno strumento per la giustizia politica e sociale, e non il contrario.
Ha partecipato a un processo molto importante, che è lo sviluppo del potere popolare che includeva il "parlamentarismo sociale di strada" e il "popolo legislatore". Ha anche partecipato, attraverso la Procura Generale della Repubblica, a molte delle idee che hanno alimentato la Costituzione del 1999. Non è stato membro dell'Assemblea Costituente, ragione per cui forse non ha potuto difendere alcuni elementi in un'Assemblea di cui più del 70-75% dei suoi membri sono oggi all'opposizione.
Aveva anche un'importante eredità internazionalista. Ha lavorato per la liberazione di Illich Ramírez, che considerava uno dei nostri internazionalisti, e per la causa palestinese e quella latinoamericana, dato che faceva parte della Commissione di Politica Estera dell'Assemblea Nazionale. Ha lavorato per la nostra adesione al MERCOSUR e per i progetti di integrazione. La professora Judith Valencia mi ha consegnato un documento in cui lui stabiliva le basi giuridiche per poter mettere l'asterisco all'ALCA (Area di Libero Commercio delle Americhe) per via della democrazia partecipativa e protagonista che avevamo nella nostra Costituzione nel 2001.
Ha partecipato a tutta la difesa della Rivoluzione, anche durante lo sciopero petrolifero. Non a caso lo chiamano "l'avvocato della Rivoluzione". Lui stesso disse in un'occasione: "Sono, sono stato e sarò l'avvocato della Rivoluzione", e così è rimasto, perché ancora non è emersa una figura che possa rimpiazzarlo in questo compito.
Ha saputo unificare la "Gioventù d'Oro" – quella nostra attuale - e ha formato la gioventù per unificare il pensiero bolivariano, per istruzione di Chávez e in quanto professore universitario. Era marxista, ma è stato anche un grande bolivariano per tutta la sua vita. Un altro dei suoi libri che siamo riusciti a pubblicare a un certo punto, e che lui aveva già pubblicato nel 2009, e poi ci sono state altre edizioni nel 2012 e nel 2017 per l'importanza del tema, si intitola "Considerazioni libere sul socialismo bolivariano".
Approfitto per segnalare che tutto questo si può trovare nel blog dell'Assemblea Nazionale, nel blog dell'EFICEM, la Scuola di Formazione Integrale Dottor Carlos Escarrá Malavé dell'Assemblea Nazionale. Si può trovare tutto ciò che ha prodotto, tutti i libri che abbiamo pubblicato a partire da diverse relazioni in momenti diversi.
Ma io credo che l'eredità più importante sia stata la difesa della rivoluzione con le idee. È stata l'eredità più importante in assoluto. La difesa del comandante Chávez con le idee. La difesa della patria libera e sovrana. E, inoltre, l'aver compreso che la migliore difesa di questa patria libera e sovrana era restituire il potere al popolo, come dice la prima combattente, Cilia Flores, e con la quale lui ha condiviso quella che è stata la Commissione Presidenziale per la Riforma Costituzionale. Lì abbiamo potuto appoggiarlo in idee meravigliose che si sono sviluppate. Molte di queste idee si sono concretizzate nella pratica e danno il via a tutto ciò che dobbiamo pensare su come le concretizzeremo in un nuovo progetto di Costituzione.
Per me, difendere la sua eredità significa assumere un peso morale che richiede molto impegno, molta dedizione, che richiede di mantenere viva un'idea che, sebbene molte di quelle idee siano state generate in un altro momento storico, continuano a essere valide e sono pienamente applicabili al giorno d'oggi, come dicevo, soprattutto per quanto riguarda il potere popolare. Dicevo anche che mio padre ha sviluppato molto la visione bolivariana e ha compreso le tre radici della rivoluzione. E qui vado su un altro argomento.
Parte degli attacchi che si stanno verificando ora hanno come obiettivo proprio quello di impedire che si realizzi una riforma costituzionale, che il presidente Nicolás Maduro aveva già proposto per l'anno prossimo, in un momento in cui tutto era in relativa calma e pace. E parte di ciò che vogliono i nostri nemici, non solo oggi, ma con gli attacchi che ci hanno sferrato nel 2007 affinché non si potesse realizzare la riforma costituzionale, ciò che vogliono è, appunto, evitare che il Venezuela si costituisca, come di fatto si è costituito, in un faro di luce per il mondo, per quanto riguarda le idee e la visione che un'altra democrazia partecipativa e protagonista è possibile. Ed è possibile, inoltre, a livello costituzionale.
Che succede con la Costituzione? Beh, le leggi, nel caso assolutamente negato che l'opposizione arrivi al governo, possono essere abrogate facilmente, mentre la Costituzione richiede un referendum popolare per essere abrogata. Pertanto, ha una possibilità di permanenza nel tempo molto maggiore. In questo modo, potremo includere nel progetto di Costituzione e nella Costituzione che approveremo, quando si realizzerà la riforma, la possibilità di approvare noi il potere popolare, il potere comunale, la geometria del potere di cui parlava il comandante Chávez, la visione persino dell'internazionalismo delle comunas, come previsto nel Piano della Patria delle Sette Trasformazioni. Tutti questi aspetti sono molto avanzati e, in qualche modo, impediscono di rovesciare il governo rivoluzionario dall'interno, se non si può contare sull'appoggio del popolo.
Lei fa parte della formazione del PSUV. Quanta influenza ha il pensiero marxista e leninista nella formazione dei giovani? I dirigenti di una fazione del PCV, che ora si oppongono al governo bolivariano e che hanno una certa audience tra alcuni partiti comunisti d'Europa, accusano il PSUV di aver adottato una linea "neoliberale". Cosa ne pensa?
Considero che, al di là dell'influenza del pensiero marxista nella formazione e nella conversazione con i militanti, ciò che fa pensare ad alcuni pseudo-dirigenti che nel PSUV sia stata adottata una linea neoliberale ha molto a che fare con gli elementi di corruzione che sono stati per lo più risanati. Soprattutto per quanto riguarda PDVSA e la vicepresidenza economica, con il caso delle criptovalute e tutto ciò che è successo con Tarek el Aissami e la gente che lavorava con lui.
Tutta questa corruzione che è stata smascherata, in un certo senso, può far pensare che alcuni dirigenti stiano lavorando per il loro beneficio personale e non per il benessere collettivo, o per generare le condizioni per una transizione al socialismo.
Credo che la responsabilità probabilmente sia anche del discorso e della narrazione di molti dei nostri leader, che a un certo punto, quando eravamo assediati dalle misure coercitive unilaterali, erano orientati a ottenere risorse per il paese, e la prospettiva non era sempre evidente. Bisogna capire che abbiamo perso il 99% degli introiti petroliferi. Questo ha avuto un impatto molto forte.
Tuttavia, basta sentire i discorsi del presidente Nicolás Maduro, del segretario generale del Partito Socialista Unito del Venezuela, Diosdado Cabello, della vicepresidenta, del Presidente dell'Assemblea, cioè i discorsi dei principali leader, per capire che stiamo davvero lavorando per una transizione verso il socialismo. Una transizione che non è semplice e che ha molte contraddizioni interne, ma queste contraddizioni permettono anche di andare avanti.
Per questo vi dico che forse nella psiche rimane molto di ciò che è stato rubato da un certo gruppo appartenente al governo, ma credo che quando il presidente parla di essere in una "nuova epoca", come la definisce, di transizione verso il socialismo, specialmente quando siamo nel mezzo di una crisi di civiltà, questo indica che sta evidentemente assumendo elementi marxisti.
Noi lavoriamo costantemente con l'analisi della congiuntura e con il metodo dialettico, sia nella formazione del partito che in altri ambiti. Come ho detto in altre occasioni, io, in particolare, quando vado a fare formazione in diverse comunità o istituzioni, la prima cosa che dico è che la migliore spiegazione dell'imperialismo oggi è proprio la visione di Lenin, basata sulle idee di Marx.
E si tratta anche di un internazionalismo molto importante che è stato proposto dal Comandante Chávez e che il Comandante Nicolás Maduro continua a sostenere. Per questa ragione, credo che ci siano elementi sufficienti per sapere che all'interno delle radici del Partito Socialista Unito del Venezuela c'è marxismo, c'è leninismo e c'è una congiunzione di idee, perché c'è anche molto latinoamericanismo, specialmente sotto la guida di tre radici essenziali della rivoluzione, come sono Simón Rodríguez, Simón Bolívar ed Ezequiel Zamora.
Lei ha avuto un'esperienza diplomatica negli Stati Uniti. Come valuta ciò che sta accadendo ora, dopo il ritorno di Trump? Marco Rubio ha molto potere, e lo abbiamo visto al fianco del genocida Netanyahu. Fino a che punto può spingersi un imperialismo in crisi, ma che non conosce regole?
Questa è una domanda molto interessante perché ha a che fare anche con le contraddizioni interne. Dobbiamo ricordare che alle origini del presidente Donald Trump c'era il Tea Party, che non era nemmeno un'ala del Partito Repubblicano, ma un partito a sé stante che poi è diventato un'ala radicale del Partito Repubblicano, fino a quando Donald Trump è stato candidato per il Partito Repubblicano. È strettamente legato non solo alla visione del "rendere l'America di nuovo grande", che è il famoso MAGA e il suo slogan, ma anche alla sua volontà di difendere lo Stato-nazione contro una classe capitalista transnazionale a cui non interessano gli Stati-nazione.
Prendiamo la visione del presidente Donald Trump e di Marco Rubio, che insiste nel dire che la sua famiglia è esiliata dal "castro-comunismo", quando si sa che è arrivata negli Stati Uniti prima dell'arrivo di Fidel, e che è fuggita dal regime di Batista, non dalla Rivoluzione Cubana. Si sa che queste narrazioni sono mosse dall'odio, l'odio verso ciò che è diverso. Questo è qualcosa che caratterizza i WASP (White Anglo-Saxon Protestants), che si credono superiori da ogni punto di vista e che hanno sempre formato l'élite degli Stati Uniti, un'élite che storicamente discende dai puritani inglesi.
Non è che Biden non avesse queste idee, ma forse non le manifestava così apertamente e direttamente in relazione al Venezuela, anche se sappiamo che Democratici e Repubblicani hanno sempre convenuto che il Venezuela appartiene a loro e che devono riconquistarlo, ma la Rivoluzione non permette loro di avere il controllo del nostro paese, che è assolutamente sovrano e indipendente e difenderà ogni suo spazio, non solo territoriale ma anche identitario, con le unghie e con i denti.
C'è una grande differenza tra democratici e repubblicani: i democratici non agiscono in modo così aperto, mentre i repubblicani agiscono frontalmente. E nel caso particolare di Marco Rubio, credo che sia una persona che ha un'enorme influenza sul presidente Trump, oltre a ricoprire due incarichi molto importanti: quello di Segretario di Stato e quello di principale consigliere della Casa Bianca per la sicurezza nazionale.
Marco Rubio, oltre ad avere una grande influenza su Trump, prova un profondo odio per tutto ciò che non controlla. La sua famiglia ha storicamente un grande odio verso la Rivoluzione Cubana, e lui crede che controllando il Venezuela possa controllare Cuba, il Nicaragua e tornare ad avere l'America Latina come il suo "cortile di casa". Credo che in questo caso non solo non abbiano imparato nulla, ma che non sappiano capire il popolo venezuelano.
Per quanto riguarda il fatto che sia al fianco del genocida Netanyahu, sia Trump che Marco Rubio sono molto legati al sionismo transnazionale. Non solo perché i loro finanziamenti sono strettamente connessi a imprese legate al sionismo e al potere delle lobby sioniste negli Stati Uniti, ma perché entrambi appartengono a chiese cristiane estreme, in gran parte evangeliche, e una delle maggiori forze di Netanyahu a livello mondiale sono proprio queste chiese evangeliche e cristiane ultra-conservatrici.
Queste chiese credono che, una volta che gli ebrei si insedieranno e avranno il controllo della Palestina, arriverà l'Apocalisse, dopo la quale il Messia verrà a governare il mondo e il mondo cambierà. C'è, quindi, una visione biblica fanatica, legata all'uso che i politici sionisti, in particolare i politici del sionismo revisionista, hanno fatto dello strumento religioso, pur sapendo che il sionismo è nato da una persona che era atea. Hanno usato la religione e il suo legame con la vittimizzazione dovuta all'antisemitismo, e hanno sfruttato questi elementi mediaticamente, politicamente e socialmente per ottenere il controllo territoriale.
Si è trattato di un movimento promosso dalle famiglie più importanti dell'élite ebraica in Europa come i Rothschild. Nato non in Palestina ma in certi paesi europei, questo movimento ha ottenuto l'appoggio dell'Inghilterra con l'obiettivo di avere il controllo su quelle terre che hanno anche importanti risorse energetiche.
Un altro elemento che mi sembra importante menzionare è che il Venezuela è l'epicentro energetico mondiale. Non solo perché ha le maggiori riserve di petrolio del mondo, ma anche le quarte riserve di gas del mondo, grandi riserve di oro, litio, terre rare, e una serie di altre risorse, acqua e biodiversità. Si tratta di un insieme di risorse naturali, rinnovabili e non rinnovabili, che sono di interesse per la corsa agli armamenti, perché tutto ciò che riguarda il settore aerospaziale ha a che fare anche con le corse agli armamenti degli Stati Uniti e delle principali potenze tecnologiche.
In un momento in cui non si sa cosa sia successo nell'incontro tra Putin e Trump, in cui poco tempo fa abbiamo visto un'importante riunione tra Putin, Xi Jinping e anche Narendra Modi, il panorama internazionale si sta riorganizzando. Gli Stati Uniti vogliono, o meglio, hanno bisogno di avere il controllo energetico del pianeta. Non possono più contare, quasi in modo assoluto, sul gas russo per venderlo all'Unione Europea, visto che ora Russia e Cina hanno deciso di sviluppare un gasdotto attraverso la Mongolia.
Il mondo si sta riorganizzando economicamente, socialmente, politicamente e persino giuridicamente in un modo che non permette agli Stati Uniti, e in particolare a Trump e Marco Rubio, di avere il controllo sul mondo, e questo, ovviamente, colpisce l'idiosincrasia di un anglosassone e protestante bianco che si crede superiore al resto del mondo.
La Rivoluzione Bolivariana ha riunito in questi anni movimenti, partiti e intellettuali di tutti i continenti. Quali sono le principali linee guida utili per ricostruire un pensiero e una pratica internazionalista? E cosa può aspettarsi il Venezuela dalla solidarietà internazionale di fronte a questa nuova aggressione?
La Rivoluzione Bolivariana è sempre stata all'avanguardia della lotta e delle idee che hanno a che fare con la difesa del popolo della Palestina e la denuncia del genocidio a Gaza. Un esempio di ciò è stata l'azione del comandante Chávez nell'anno 2006 alle Nazioni Unite. La sua famosa frase "Qui c'è puzza di zolfo" è stata un elemento mediatico molto importante e un momento che la gente ricorda molto di più del suo discorso del 2005, in cui proponeva la rifondazione delle Nazioni Unite. Sebbene quest'ultimo fosse un messaggio categorico, non ha avuto lo stesso impatto mediatico che ha catturato l'attenzione del pubblico allo stesso modo.
È necessario ricostruire un pensiero e una pratica internazionalista? Certo che sì, perché l'imperialismo non attacca solo noi. Abbiamo visto gli attacchi di "Israele" in Qatar, e come il regime sionista non assedia solo il popolo palestinese, ma anche quello libanese e quello dei paesi vicini con la sua visione del "Grande Israele" legata al sionismo internazionale. Sono diversi popoli del pianeta, senza dimenticare i popoli africani o il caso di Haiti, che sono sempre stati presenti nelle battaglie che la nostra rivoluzione ha sostenuto con forza. In questo momento, la solidarietà degli altri paesi con la Repubblica Bolivariana del Venezuela è particolarmente importante, e per questo è fondamentale che abbiano accesso a ciò che sta realmente accadendo.