È vero che i giovani non si informano più?

Pubblicato: 20/09/2025, 11:44:24 ·

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“I giovani d’oggi non si informano più”, “Stanno sempre su Instagram e TikTok”, “Come fanno a crearsi un pensiero critico?”. A tutti noi, almeno una volta nella vita, sarà capitato di ascoltare o partecipare a discussioni di questo tipo. Ma quanto queste affermazioni sono basate su fatti e dati, e quanto invece sono influenzate dall’antica abitudine – mai passata di moda – di criticare indiscriminatamente le nuove generazioni? L’indagine Eurobarometro Flash sui giovani, il sondaggio condotto su un campione di oltre 25mila ragazzi e ragazze tra i 16 e i 30 anni nei 27 paesi dell’Unione Europea, dà alcuni spunti di riflessione. Primo tra tutti: non è vero che i giovani sono disinteressati e non si informano più. Semplicemente, le loro fonti di informazione sono diverse.

In Italia, il 44% dei giovani si rivolge ai social media quando vuole informarsi sulle questioni politiche e sociali, poco più della media europea del 42% (dati 2024). Mentre solo il 25%, poco più della metà, legge i giornali e va sui siti di notizie (sono il 26% in Europa). Se la stampa è in netto declino, la televisione invece continua a essere la prima fonte di informazione per il 52% dei ragazzi e ragazze italiani, una percentuale nettamente superiore a quella europea del 39%. Tra i social, il più frequentato è Instagram (59% in Italia contro il 47% in Europa), seguito da Youtube (37%), TikTok (35%), Facebook (26%). Chiude la classifica X (ex Twitter), che è utilizzato solo dal 19% del campione.

“Il panorama dell’informazione sta cambiando rapidamente”, ha commentato la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola. “Poiché la maggior parte dei giovani si informa prevalentemente sui social media, i politici e le piattaforme hanno una responsabilità particolare nel combattere la crescente disinformazione”. Secondo Eurobarometro, i giovani europei sono comunque consapevoli del rischio di fake news: il 76% dichiara di essere venuto a contatto con informazioni false o fuorvianti negli ultimi sette giorni ma, allo stesso tempo, il 70% è fiducioso di saper riconoscere i contenuti falsi.

Meno news, più social

Un panorama più preoccupante è dipinto invece dal Reuters Institute for the Study of Journalism dell’Università di Oxford, che ogni anno redige il Digital News Report 2025. L’indagine, effettuata su un campione di 17 paesi, mostra che i giovani sono sempre meno interessati alle notizie, e questo mette a rischio la loro partecipazione democratica. Tra il 2015 e il 2024, la percentuale di persone che leggono news online settimanalmente è diminuita di 13 punti percentuali nella fascia 18-24 anni, rispetto a un calo di soli 5 punti tra gli over 55. Guardando solo all’Italia, il trend è ancora più accentuato: la carta stampata, che veniva letta dal 59% dei rispondenti nel 2013, oggi arriva a malapena al 12%. Parallelamente, i social media sono passati dal 27% al 39%.

La diminuzione è stata evidente non solo tra i giovani, ma anche tra coloro che non hanno una laurea, aggravando le disuguaglianze esistenti in chi si trova in condizione di povertà educativa. Anche il modo in cui i social media funzionano può avere contributo al calo dell’interesse per le notizie, spiega il Reuters Institute: gli algoritmi dei social media sono ottimizzati per trattenere l’utente sulla piattaforma il più a lungo possibile, e questo ha fatto sì che le società proprietarie dei social media dessero priorità all’intrattenimento in video in formato breve a discapito delle notizie.

“Si parla molto della cosiddetta transizione digitale che i giornali avrebbero realizzato nei primi anni Duemila, ma questa transizione in Italia è stata incompleta: questo ha alimentato i rischi e le contraddizioni della fruizione delle notizie sui social”, commenta a Valigia Blu Andrea Carcuro, giornalista di Scomodo, un mensile fondato nel 2016 con l’obiettivo di offrire un’informazione di approfondimento per le persone sotto i trent’anni. “I giornali digitali non hanno una chiara identità e faticano a creare una comunità online, replicando i vizi dell’informazione tradizionale. Gran parte dell’informazione italiana di qualità è ancorata alla carta e non viaggia online, una sfera che invece avrebbe un potenziale enorme. Il risultato è che sui social assistiamo alla ricerca della viralità, a un minor approfondimento, alla confusione tra contenuti giornalistici e articoli brandizzati, mentre ci perdiamo delle opportunità per quanto riguarda l’inclusione delle nuove generazioni”.

Il ventesimo rapporto "I media e la libertà" redatto dal Censis raccoglie un dato emblematico: oltre il 70% dei giovani italiani tra i 14 e i 29 anni afferma di poter vivere senza informazione tradizionale. Una percentuale che scende al 30% tra gli over 65. Non solo: parallelamente si registra un consolidamento nell’impiego delle piattaforme online legate all’immagine. Il 78,1% dei ragazzi e ragazze, infatti, dichiara di usare Instagram; il 77,6% è utente di YouTube; 64,2% sceglie TikTok. L’indagine parla di uno “scollamento progressivo tra cittadini e flussi informativi tradizionali, alimentato tanto dalla grande abbondanza di media digitali quanto dalla percezione che oramai l’informazione debba passare attraverso i nuovi mezzi di comunicazione”. Va detto che informarsi – in modo tradizionale e non – è comunque considerato fondamentale. Ben l’80% dei giovani afferma che sia un diritto e un dovere di tutti. Il 67% concorda che, nonostante i molti difetti, l’informazione sia imprescindibile.

“Una grande fetta di popolazione finisce oggi per informarsi su Instagram, e solo su Instagram”, aggiunge Carcuro. “Quella è diventata la piattaforma per eccellenza e ha finito per polarizzare le posizioni su alcuni temi: il dibattito che si alimenta nei commenti è frutto di una lettura veloce, che spesso si limita al sommario e non approfondisce i contenuti di tutto l’articolo. Noi di Scomodo abbiamo una redazione ad hoc per Instagram, che a partire dalla rivista mensile lavora alla costruzione di contenuti esclusivamente social. Ci sono processi partecipativi e comunitari che nascono da una discussione interna: non vogliamo cadere nella velocità e nella produzione compulsiva, più incentrata sulla quantità che sulla qualità”.

Per avvicinare i giovani ai giornali, Scomodo pubblica ogni settimana la newsletter Parallasse, una rassegna stampa critica che aiuta a orientarsi nei rapporti di forza che muovono il panorama informativo italiano. “Analizziamo una notizia in base a come è stata trattata dai vari quotidiani, spieghiamo come nasce un articolo, quali sono i posizionamenti politici e il peso degli inserzionisti. L’obiettivo è rendere i giornali più aperti e accessibili. La nostra è un’analisi costruttiva: siamo consapevoli che gran parte del dibattito pubblico passi ancora dai giornali, non potremmo farne a meno. È per questo che dobbiamo imparare a leggerli con più consapevolezza”.

Quanto ha senso oggi parlare di “giovani”?

Quando si parla di dieta mediatica delle nuove generazioni, c’è però chi si interroga sull’opportunità di analizzare una categoria così ampia come quella dei “giovani”. La semiologa Giovanna Cosenza, professoressa dell’università di Bologna ed esperta di nuovi media, sottolinea ad esempio il “ruolo, nel consumo online di informazione, di molti altri fattori sociodemografici oltre all’età, come il genere sessuale, l’area geografica, il titolo di studio, il reddito, e così via”. Per quel che riguarda poi il concetto di “generazione”, Cosenza evidenzia come esso sia messo in discussione da diversi studi nel campo delle scienze sociali. “Mi limito a segnalare la lettera aperta che un gruppo di demografi e scienziati sociali statunitensi secondo cui espressioni come generazione X, millennial e generazione Z, molto diffuse nel giornalismo, nel marketing e nel senso comune, non hanno alcun fondamento nella realtà sociale, ma confermano stereotipi e producono inesattezze e inutili generalizzazioni, deviando l’attenzione da fattori più significativi e influenti nella comprensione dei fenomeni sociali”, scrive.

Quando si denuncia il problema dei giovani sempre meno informati, allora, la nostra interpretazione potrebbe essere fuori fuoco. “È almeno dal 2018 che il Reuters Institute mostra come ogni anno in tutto il mondo ci si informi sempre meno accedendo direttamente alle app e ai siti web delle testate giornalistiche e sempre di più usando i social media”, continua Cosenza. “Negli stessi anni, è cresciuto molto l’uso di YouTube come fonte di notizie, malgrado di questo si parli poco, ed è cresciuto per tutte le generazioni, non solo per i più giovani”.

Le cause del distacco tra i giornali e le nuove generazioni

Sebbene la categoria dei cosiddetti “giovani” sia vaga e variegata al suo interno, esistono comunque dei trend comuni e riconoscibili, come la crescente distanza delle nuove generazioni dall’informazione tradizionale. Perché sta avvenendo questo? Una spiegazione potrebbe arrivare dall’Osservatorio sul giornalismo dell’AGCOM, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che nell’ultimo report 2020 denuncia che “gli ultimi venti anni sono stati contraddistinti, in Italia, da un deciso invecchiamento della popolazione giornalistica, con la progressiva scomparsa di under 30 e una forte riduzione di under 40”.

Circa il 12% dei giornalisti attivi ha più di 60 anni, mentre la stessa quota era pari solo al 2% nel 2000, anno in cui più della metà dei giornalisti (53%) aveva meno di 40 anni (oggi sono solo il 30%). In sostanza, in poco più di 15 anni, il giornalismo italiano è passato dall’essere una professione sostanzialmente giovane, in cui oltre la metà dei giornalisti aveva meno di quarant’anni, a un’attività svolta da professionisti più maturi, in cui due quinti (40%) ha più di cinquant’anni e più di due terzi (70%) ha più di quarant’anni.

“La grande distanza tra i giovani e i giornali nasce e si consuma in un dato: gli under 35 rappresentano solo l’1,7% dei giornalisti presenti nelle redazioni”, commenta Andrea Carcuro. “È proprio nelle redazioni che nascono narrazioni stereotipate e paternalistiche delle nuove generazioni, perché si finisce per parlare dei giovani senza i giovani. Cosa pensano? Cosa dicono? Noi giovani veniamo rappresentati come se fossimo tutti e tutte uguali, come se avessimo lo stesso livello di istruzione, provenissimo dalla stessa regione, e così via”.

Per i giovani, l’accesso alla professione giornalistica – regolamentata in Italia dall’Ordine dei giornalisti – incontra diversi ostacoli. La giornalista freelance Leila Belhadj Mohamed, intervistata su The Fix, afferma: “C’è una questione generazionale, perché nelle redazioni non c’è avvicendamento, ma c’è anche un problema di genere e classe. Prima o poi tutto questo porterà all’abolizione dell’Ordine dei giornalisti, che ha creato una lobby dell’informazione trasformando il giornalismo in un’occupazione per ricchi. È inaccettabile”. Di abolizione dell’Ordine si parla già dai primi anni 2000, quando Daniele Capezzone del Partito radicale presentò una proposta di legge con questo scopo. Il dibattito è continuato per anni, nel frattempo l’Ordine esiste ancora.

“Il giornalismo, che dovrebbe essere uno strumento della democrazia, è diventata sempre più elitario”, conclude Carcuro. “Se sei giovane, o ti paghi una scuola costosissima, o hai la fortuna di ottenere un praticantato, oppure non entri. La difficoltà di accesso diventa anche una difficoltà di rappresentazione: sulla stampa i ragazzi vengono raccontati come svogliati, problematici o indisciplinati. Sono queste narrazioni che alimentano la distanza tra i giovani e l’informazione”.

Questo articolo è stato realizzato con il contributo dei giornalisti Marta Abbà, Odysseas Grammatikakis, Vladimir Mitev, nell'ambito delle reti tematiche di PULSE (di N-Ost | OBCT), un'iniziativa europea dedicata alla promozione di collaborazioni giornalistiche transnazionali. 

Immagine in anteprima via unige.it