Big Thief, immaginare il tempo: intervista al trio per il nuovo album “Double Infinity”

Pubblicato: 20/09/2025, 00:50:39 ·

I Big Thief raccontano Double Infinity: una registrazione corale intensa, l’energia condivisa in studio e le emozioni del tour dal vivo.

  • Teresa Rossi
  • 5 Settembre 2025

Double Infinity è il sesto album dei

Big Thief, inciso lo scorso inverno ai Power Station Studios di New York, nel corso di tre settimane consecutive. Una comunità di musiciste e musicisti ha contribuito a rendere questo progetto corale. Quasi tutto è stato suonato e registrato contemporaneamente e l’atmosfera che hanno creato è viva e unica. Abbiamo intervistato il trio statunitense al gran completo, in attesa del Somersault Slide 360 Tour, che partirà questo settembre e arriverà in Italia il 14 giugno 2026 al Magnolia Estate di Milano.

Qual è stato il processo di registrazione di questo album? Per il precedente Dragon New Warm Mountain I Believe In You avevate scelto di registrare in quattro luoghi diversi in tutto il Paese. Come avete preso le decisioni per questo nuovo progetto?

Adrienne Lenker: Abbiamo attraversato un periodo di grandi cambiamenti, ci siamo separati dal nostro bassista Max (Max Oleartchik, NdR), con cui avevamo suonato per dieci anni, e siamo diventati un trio.   Dragon New Warm Mountain I Believe In You era un progetto imponente, abbiamo registrato quaranta canzoni e, negli anni successivi all’uscita dell’album, ho continuato a scrivere senza sosta, a volte anche insieme agli altri. Le canzoni si sono accumulate e abbiamo pensato che fosse ora di registrare perché erano troppe e volevamo metterle su disco, ma come avremmo fatto? Suonavamo le canzoni come un trio e non era proprio quello che volevamo, era come se mancasse qualcosa, come se la musica e l’arte volessero qualcosa di più. Abbiamo continuato a immaginare, cosa che facciamo spesso insieme. Facciamo brainstorming e usiamo la nostra immaginazione. Com’è il suono, come possiamo sentirlo nella nostra mente, come lo percepiamo nella stanza, qual è la sensazione che desideriamo? Abbiamo capito l’energia che volevamo, vibrazioni elevate, qualcosa di edificante, come qualcosa che ci tirasse fuori da questa pesantezza nei nostri corpi e che possiamo sentire nel mondo. Allora abbiamo pensato che forse avremmo potuto suonare con qualcuno che suonasse musica drone, un droner come

Laraaji. Avremmo potuto avere sia percussioni che batteria e avremmo potuto avere dei vocalist. Abbiamo avuto questa idea perché ascoltavamo anche molta musica corale in quel periodo. Alla fine, è diventata questa grande band che immaginavamo e abbiamo pensato: ci troviamo comunque in un capitolo completamente nuovo; quindi, invece di cercare di sostituire il nostro bassista, facciamo qualcosa di completamente diverso e apriamo le porte. Non devi stare in una scatola.

Pensate che sia così diverso suonare insieme durante la registrazione piuttosto che sovraincidere parti e strumenti? Che differenza fa per voi?

James Krivchenia: È molto diverso, molto più divertente. Voglio dire, in primo luogo noi suoniamo insieme, facciamo molti concerti insieme, ogni jam session insieme, proviamo insieme. Se questa è la tua formazione naturale, non vedo perché non dovresti farlo in studio. L’abbiamo imparato nel corso degli anni, provando tutte le maniere possibili. Penso che più lo abbiamo fatto, più ci siamo resi conto che la cosa che suona meglio è suonare tutti insieme, con Adrienne che canta. Il punto non è nemmeno che suoni bene o male, è più che altro che ti rendi conto quando succede qualcosa in modo speciale. Te ne rendi conto immediatamente, come se ci fosse già un’atmosfera nella stanza, non devi ascoltare nessuna take. È come trovarsi in una foresta, invece, se non hai quel punto di riferimento, ma stai solo sovraincidendo e pensi “suona bene, spero che funzioni”.

Buck Meek: Il processo creativo spesso non è così misterioso come ci si potrebbe aspettare, spesso richiede solo disciplina ed è un lavoro duro arrivare al punto che hai sognato. Registrare con un gruppo di persone in una stanza è molto più veloce, passare attraverso le iterazioni è molto più rapido e simultaneo, quando ci sono decisioni da prendere avvengono in frazioni di secondo, insieme, senza bisogno di parlarne o di avere una conversazione democratica. Si lanciano semplicemente delle idee musicali nella stanza e tutti rispondono molto rapidamente e lavorano in modo istintivo, e poi si ha una sorta di idea approssimativa nei primi minuti, almeno nella prima fase. Da lì si può procedere molto più rapidamente rispetto a una situazione in cui si cerca di sovraincidere tutto.

Adrienne Lenker: Niente è come suonare insieme in una stanza. Per me non c’è niente di meglio, per altri potrebbe essere diverso, potrebbe essere un incubo. Niente può sostituire la magia di suonare insieme in una stanza con altre persone, senza poter controllare tutto, senza sapere cosa succederà. In altre forme di registrazione è facile avere il controllo, perché puoi creare tutte le parti esattamente come vuoi e renderle perfette. È interessante anche il fatto che non provenga da noi: non siamo solo io, James e Buck e quello che facciamo con il nostro cervello e con il nostro corpo, ma ci sono altre nove persone di cui ci fidiamo e a cui lasciamo semplicemente dipingere ed è emozionante perché percepisci, diventi anche un pubblico. Quando stavamo suonando era molto emozionante e divertente perché sentivo tutto prendere vita in un modo che noi, da soli, non saremmo stati in grado di fare.

Penso che siamo abituati a cose che sembrano perfette, ma che a volte risultano anche distanti, ed è molto interessante sapere che continuate a registrare così. In che modo la natura e l’ambiente circostante influenzano il vostro lavoro? Pensate che le diverse stagioni o gli spazi che attraversate cambino il vostro modo di lavorare?

Adrienne Lenker: Penso di sì. Quello che mangi, cioè il cibo che introduci nel tuo corpo, cambia il tuo corpo. Quindi lo fanno anche tutte le cose che ingeriamo o assorbiamo, come la luce del sole sulla nostra pelle o il freddo o il caldo o la pioggia o la sporcizia o la polvere della neve, tutto, e tutte le persone che vediamo con i nostri occhi, gli odori, i suoni e tutto il resto. È come se il nostro ambiente ci influenzasse in modi che non riusciamo nemmeno a comprendere. Ci nutre e va dritto in ciò che produciamo, ciò che creiamo, ciò che ci piace fare, proprio come il cibo che mangiamo si trasforma in merda e non è che tu possa controllare la merda, è come se uscisse e basta, credo che con la musica sia un po’ lo stesso. È interessante, la metabolizzi e la ingerisci, scusa se sono un po’ volgare.

Buck Meek: sai, è altrettanto importante, secondo me, un ambiente che favorisca la concentrazione. Un posto dove puoi semplicemente avere un flusso di lavoro focalizzato, muovendoti attraverso il processo di una canzone o qualunque sia il tuo processo creativo, senza essere interrotto o distratto. Penso che forse questa sia la cosa più importante.

James Krivchenia: un posto che è particolarmente difficile da trovare. È un po’ quello che rende così speciali gli studi, c’è una sorta di palla di energia immagazzinata. Sai, non sembra un luogo, il Power Station, non vorrei stare lì o fare festa lì, vorrei solo registrarci.

Buck Meek: non è come uno spazio spirituale perché c’è pochissima decorazione. L’atmosfera è calda, ma è molto pulita.

Credo che Double Infinity mi sia piaciuto perché il suono è diretto ma anche complesso, e c’è spazio sia per la sperimentazione che per la semplicità. Vi capita mai di pensare che state aggiungendo troppe cose o che state complicando troppo qualcosa mentre scrivete o registrate?

James Krivchenia: Sì, certo, a volte aggiungiamo troppo o ascoltiamo e ci rendiamo conto che non riusciamo più a sentire la canzone, anche se ci sono un sacco di cose interessanti. In realtà abbiamo passato una settimana ad aggiungere un sacco di cose dopo questa sessione, proprio prima del mixaggio, e forse il 15% è rimasto, ma abbiamo dovuto aggiungere degli elementi per renderci conto che i pezzi erano già buoni.

Adrienne Lenker: Voglio dire, le cose che abbiamo aggiunto sono circa il 2% di quello che si ascolta, quindi è davvero minimo ma, sì, è quello che abbiamo capito mentre lavoravamo. Era come se non avessimo bisogno di aggiungere altro perché c’era già molto.

James Krivchenia: riguardo al mixaggio: è uno di quei momenti strani in cui devi decidere cosa è importante e la faccenda è davvero soggettiva. È un po’ come un castello di carte: Dom (Dom Monks, NdR) prepara un mix e io penso “Oh, cavolo, amico, dobbiamo sentire molto di più la chitarra”, ma non puoi semplicemente alzare il volume della chitarra e sperare che funzioni, in questo mondo soggettivo che lui ha creato. È un vero rompicapo, c’è un motivo per cui molti mix suonano terribili, perché cerchiamo di sentire tutto, ma in realtà il nostro cervello vuole mettere a fuoco cose diverse.

Adrienne Lenker: Dom ha fatto un ottimo lavoro con il mix, perché c’era solo un modo per farlo, o almeno così mi sembra, mentre in molti altri progetti ci sono molti modi per mixare, ma in questo caso mi è sembrato che lui avesse trovato quello giusto. Tutti i microfoni erano accesi contemporaneamente e suonavamo tutti insieme; quindi, se avessi voluto alzare il volume della mia voce, avresti alzato anche quello della batteria o dei cori, e se volevi alzare il volume dell’amplificatore del basso o di qualsiasi altra cosa, era come se ci fossero altre cose dentro, quindi dovevi trovare il punto giusto. Io volevo che la voce fosse vicina ma anche ambientale, per sentire ogni parola e potersi immergere in essa, ma anche in qualche modo eterea. Trovare quell’equilibrio è davvero difficile e molte volte ha a che fare con la minimizzazione di altre cose e non so, penso che ci siano state volte in cui mi è sembrato che aggiungessero troppo e io ero preoccupata o pensavo che fosse un rischio suonare con così tante persone. Penso però che abbiamo scelto di suonare con persone così sensibili che, nonostante tutti suonino praticamente tutto il tempo (sono tipo undici o dodici strati di suono), tutti suonano con così tanto gusto che a volte creano semplicemente una texture.

Big Thief, foto di Alexa Viscius (2025)

Adrienne, nei testi noto molti riferimenti temporali, come se giocassi con elementi del passato, quali ricordi, aspettative e visioni. Parli di tua madre, tua nonna e anche della tua bisnonna, come se ci fossero dei sentimenti ancestrali, come se raccogliessi i tuoi ricordi per guardare al futuro in modo diverso e come se queste dimensioni fossero intrecciate tra loro

Adrienne Lenker: sentimenti ancestrali, mi piace. Guardare al passato lo rende possibile o comunque è impossibile non farlo. Sono così legati tra loro e penso che sia proprio questo che li caratterizza. La dualità dell’essere umano, che è evidente, e tutto il resto, è incredibile. A volte mi chiedo chi abbia inventato tutto questo, chi abbia sviluppato questa idea del mondo e di questi esseri umani, è un sentimento troppo specifico per essere casuale. È troppo specifico, sento che ci deve essere uno scopo in tutto questo, stiamo trasformando qualcosa, stiamo facendo qualcosa qui sulla Terra e la Terra è come viva. È incredibile fermarsi davvero, come quando da bambina a volte pensavo: “Oh mio Dio, cos’è il nulla? Sto davvero immaginando il nulla”. Ricordo che alle elementari cercavo di immaginare il nulla e mi sconvolgeva. Ricordo la prima volta che ho provato quella sensazione, pensavo: “Non riesco a immaginare il nulla” o ci riuscivo per un secondo ed era quasi come guardare oltre un precipizio davvero spaventoso. Non so, forse le cose si estendono all’infinito in entrambe le direzioni, come tutto ciò che c’è prima della nascita, e quando pensi davvero da dove vieni, dove andiamo quando moriamo, quando pensi davvero alla morte, quando pensi davvero a com’è quel posto.

È così spaventoso, così sconosciuto, ma è anche qualcosa su cui possiamo davvero contare, come nella vita, come se sapessimo che andrà tutto bene, sì, è proprio come riflettere sulle grandi domande della vita, su cosa siamo, su come viviamo, su come esistiamo, su cosa sia l’amore e su come trovarlo, su cosa significhi tutto questo e su come ci connettiamo gli uni agli altri. È divertente interrogarsi su queste cose. Sto pensando ai nostri corpi. I nostri corpi sono così perché ci danno molte delle cose migliori della vita. A volte mi sembra che, anche in mezzo a tutto quello che succede, la natura sia incredibile. Quando assaggi del buon cibo o ti tuffi in acqua, nuoti o vivi queste esperienze, lo senti e basta. Sei in un bellissimo giardino o in una foresta e ti godi tutto, senti il profumo della terra e dei fiori e di qualsiasi altra cosa, sei con un amico e senti quell’amore davvero. Il mio corpo rende possibile questo piacere e allo stesso tempo il corpo può essere una gabbia, una trappola, è così limitante. Sono limitata da questo corpo, non posso essere nel corpo di un’altra persona, non posso guardare con gli occhi di un’altra persona, non posso vedere cos’è l’infinito, non posso capire cos’è questa vita, sono così limitata da questo corpo, che invecchia, si ammala e fa male, fino a quando non muori.

Quando invecchi, se hai la fortuna di invecchiare, sembra doloroso ed è come se fosse un dono, un incredibile dono sensoriale, anche una cosa incredibilmente pesante e difficile, e sento che tutto è così. Tutto ciò che nasce è anche un lutto, perché se ne andrà, ed è doloroso ed è bello ed è un viaggio. La gente scrive così tanti libri e dischi riflettendo su tutte queste cose.

Avete qualche aspettativa particolare rispetto al portare questi brani in tour, dal vivo? Pensate che sia un’esperienza diversa, anche solo vedere come reagirà il pubblico?

James Krivchenia: È sempre molto diverso. Al momento non ho molte aspettative, ma so che sarà molto diverso, il che è entusiasmante e penso che ci offrirà qualcosa di speciale, soprattutto perché non suoneremo con tutte le persone presenti nel disco. Penso che comunque sarà fantastico.

Adrienne Lenker: Sì, sarà molto diverso perché suoneremo solo in quattro e inevitabilmente troveremo come farlo. Sono sicura che scopriremo dei modi di suonare queste canzoni dal vivo che ci piaceranno ancora di più. Probabilmente diremo: “Oh, questa versione…”. È un po’ quello che succede a volte con le canzoni: registriamo un album e poi lo suoniamo spesso dal vivo e cambia davvero. Alcune canzoni non vogliono nemmeno essere suonate dal vivo e poi le senti. È emozionante perché ogni spettacolo è diverso ed è come se fosse vivo, proprio come lo è stato registrare il disco.