Sudan, la Gaza dimenticata: geopolitica di una crisi rimossa

Pubblicato: 19/09/2025, 23:39:52 ·

Il conflitto sudanese è oggi la peggiore crisi umanitaria al mondo, ma resta ai margini dell’agenda internazionale. La sua lettura in chiave geopolitica mostra come il Paese sia divenuto epicentro di competizioni regionali e globali, e come la sua marginalizzazione mediatica e politica riproduca lo schema di una “Gaza dimenticata”.

Il conflitto sudanese è oggi la peggiore crisi umanitaria al mondo, ma resta ai margini dell’agenda internazionale. La sua lettura in chiave geopolitica mostra come il Paese sia divenuto epicentro di competizioni regionali e globali, e come la sua marginalizzazione mediatica e politica riproduca lo schema di una “Gaza dimenticata”.

La guerra dei due generali e il collasso umanitario

Dal 15 aprile 2023 il Sudan è travolto da una guerra civile tra le Forze Armate Sudanesi (SAF) del generale Abdel Fattah al-Burhan e le Forze di Supporto Rapido (RSF) guidate da Mohamed Hamdan Dagalo (Hemedti). Ciò che nasce come un conflitto di potere interno si è trasformato in un collasso statale: oltre 11 milioni di sfollati interni, 25 milioni di persone in insicurezza alimentare e l’assedio prolungato di al-Fasher, capitale del Nord Darfur, epicentro di una crisi che le Nazioni Unite definiscono la più grave al mondo. La strategia dell’assedio urbano, il blocco sistematico degli aiuti e i bombardamenti indiscriminati riproducono dinamiche già osservate in altri teatri come la Siria o Gaza, dove la popolazione civile diventa obiettivo deliberato e la fame viene utilizzata come arma di guerra. In Sudan, queste pratiche si accompagnano a violenze di natura etnica e di genere, con interi villaggi devastati, donne e ragazze vittime di stupri di massa e un utilizzo crescente della violenza sessuale come strumento di controllo politico e sociale.

Il riconoscimento da parte degli Stati Uniti del genocidio in Darfur da parte delle RSF conferma la gravità delle violazioni e richiama l’urgenza di un’azione internazionale. Tuttavia, l’assenza di un impegno forte da parte delle grandi potenze sottolinea il paradosso geopolitico sudanese: una crisi enorme dal punto di vista umanitario e securitario, ma marginalizzata nello spazio politico-mediatico globale. Ciò rivela come, in un sistema internazionale dominato da logiche di selezione dell’agenda, alcune crisi diventino “visibili” perché direttamente connesse agli interessi strategici dell’Occidente, mentre altre, pur configurando crimini atroci, restano nell’ombra.

Un conflitto locale con dimensione globale

Il Sudan non è un teatro periferico, ma un crocevia della competizione regionale e internazionale. L’Egitto sostiene l’esercito regolare per tutelare i propri interessi lungo il Nilo, soprattutto in relazione alla disputa con l’Etiopia sulla Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD), che rende instabile l’intero bacino idrico. Le RSF hanno invece potuto contare su reti di contrabbando d’oro e su appoggi esterni, nonostante l’embargo sulle armi imposto dalle Nazioni Unite. La comparsa di droni iraniani a sostegno della SAF e le accuse di forniture agli Emirati Arabi Uniti mostrano come il conflitto si stia rapidamente internazionalizzando, inserendosi nelle fratture già esistenti tra potenze regionali. In parallelo, il Sudan si affaccia sul Mar Rosso, un’area oggi al centro di nuove dinamiche geopolitiche. Qui si intersecano gli interessi di attori globali come gli Stati Uniti, la Russia e la Cina, tutti intenzionati a consolidare la propria influenza su una rotta marittima cruciale per il commercio mondiale e per l’approvvigionamento energetico europeo. Non è un caso che la prospettiva di una base navale russa a Port Sudan abbia suscitato forti reazioni a livello internazionale, trasformando il conflitto in una pedina di un confronto più ampio.

Una crisi protratta rischia dunque di destabilizzare non soltanto il Corno d’Africa, già segnato dall’instabilità della Somalia e dal conflitto nel Tigray, ma l’intero quadrante che dal Mediterraneo orientale si estende fino al Golfo Persico. Le conseguenze sarebbero dirette: interruzione dei traffici commerciali globali, minaccia alla sicurezza energetica europea e maggiore pressione migratoria lungo le rotte che attraversano la Libia e il Mediterraneo centrale.

In questo quadro, il conflitto sudanese diventa un esempio paradigmatico di come una guerra apparentemente “locale” si trasformi in una crisi sistemica: un nodo geopolitico in cui convergono rivalità regionali, interessi globali e conseguenze umanitarie di scala mondiale.

Sudan come gaza dimenticata: implicazioni per l’Europa e l’Italia

Definire il Sudan una “Gaza dimenticata” significa sottolineare lo squilibrio di attenzione tra la gravità della crisi e la marginalità che essa occupa nel dibattito politico e mediatico internazionale. In Sudan, come a Gaza, assistiamo a dinamiche di assedio, fame indotta e bombardamenti urbani; ma, diversamente da Gaza, la visibilità globale è minima e i fondi umanitari drammaticamente insufficienti. Le agenzie delle Nazioni Unite hanno denunciato come il piano di risposta umanitaria resti gravemente sottofinanziato, con conseguenze dirette sulla sopravvivenza di milioni di civili. Questa asimmetria di attenzione riflette una logica geopolitica selettiva: alcune crisi diventano prioritarie perché incidono su equilibri strategici immediati per l’Occidente, altre, pur configurando genocidi o carestie, restano in secondo piano. L’assenza di una copertura mediatica adeguata contribuisce a ridurre la pressione politica, alimentando un circolo vizioso in cui le popolazioni intrappolate in conflitti “invisibili” non ricevono né risorse né protezione. Per l’Europa e per l’Italia, ignorare il Sudan equivale a trascurare una crisi che riguarda da vicino le rotte migratorie, la stabilità del Mar Rosso e la credibilità dell’Occidente nel difendere principi di diritto internazionale. La rotta che attraversa la Libia e il Mediterraneo centrale risente direttamente del collasso sudanese, mentre l’instabilità del Mar Rosso ha implicazioni per i commerci e per la sicurezza energetica. In gioco non c’è soltanto un imperativo umanitario, ma la capacità di esercitare un ruolo attivo nel contenimento delle violenze, nel sostegno alle popolazioni civili e nella gestione di una regione che, se abbandonata, rischia di trasformarsi in un nuovo epicentro di instabilità.

In questa prospettiva, definire il Sudan una “Gaza dimenticata” non è solo una denuncia morale, ma un avvertimento strategico: un sistema internazionale che tollera l’oblio di crisi di tali dimensioni si espone a nuove fratture e a una crescente perdita di legittimità.