L’attesa consuma. Schiaccia, scoperchia i corpi e fa volare via i pensieri come il vento che ci aspetta se solo riuscissimo a partire.Per mille ragioni, le barche da Tunisi hanno rallentato e noi ci siamo trovati ad aspettare in una baia con tramonti e albe tingono il cielo di rosa, ma non cancellan
L’attesa consuma. Schiaccia, scoperchia i corpi e fa volare via i pensieri come il vento che ci aspetta se solo riuscissimo a partire.
Per mille ragioni, le barche da Tunisi hanno rallentato e noi ci siamo trovati ad aspettare in una baia con tramonti e albe tingono il cielo di rosa, ma non cancellano il fatto che l’attesa ci trattiene a stento mentre assistiamo impotenti a quello che sta succedendo a Gaza.
Gaza: l’orrore della resa dei conti
La presa di Gaza City ci parla di orrore, di incoscienza, di furia infinita.
In questi due anni credevamo che niente potesse essere peggio di quello che abbiamo visto noi e loro vissuto.
Invece siamo alla resa dei conti.
La fine di un popolo che si può spezzare ma non annientare, l’occupazione totale di una terra che per conquistare, hanno dovuto distruggere con tutto quello che c’era dentro, donne, bambini, bambine, dignità, leggi e giustizia.
Il governo israeliano ha venduto l’anima nel momento in cui un soldato ha ucciso il primo bambino colpendolo al petto come se fosse una bambola di pezza.
Crimini di guerra e di umanità
Da quel momento in poi, é stato uno scivolare verso quell’incoscienza che ha diviso il mondo tra chi era dalla parte di un potere che si é insinuato magistralmente in quello di altre nazioni e la gente, divisa da tifo di chi pensa che uccidere 25mila bambini e bambine, migliaia di padri, di madri, possa essere necessario per garantire la propria sopravvivenza.
Affamare la gente, torturare medici, uccidere giornalisti e giornaliste.
Colpire ospedali, scuole, gente che cercava cibo o cure.
Tutti i crimini di guerra e umani, sono stati commessi in questo genocidio, come forse accade in ogni genocidio e guerra e pure siamo ancora lontani dal pensare che i conflitti non siano la soluzione al problema, che le armi andrebbero bandite e i lobbisti degli armamenti lasciati andare alla deriva di un mondo che si scopre ogni giorno meno sacro, meno vivo, meno saggio, meno umano.
La Flotilla sulla quale sono a bordo, rappresenta un po’ quel scalpitio che a motori spenti uccide la fretta di fare qualcosa, ma non la voglia. Non siamo noi quelli in ritardo ma i governi del mondo che per due anni hanno picchiato su un genocidio con lo stesso cinismo con cui sono state tradite le donne afghane. La Flotilla non è la soluzione al conflitto, naturalmente, ma é un monito, quella presa di posizione che molti governi, compreso il nostro, non sono stati capaci a fare. O peggio, non hanno voluto prendere per interessi che non riguardano più i propri cittadini che dovrebbero tutelare. Pace, giustizia, verità e vita.
Cosa ci lega tanto al governo Israele da impedire a chi decide di non vedere quello che sta accadendo, a credere a chi uccide invece che a chi muore? Credere a chi è disposto a sacrificare la propria gente per imporre un sogno che in realtà è un incubo anche per loro, avvolti in una sorta di delirante sociopatia collettiva che impedisce di vedere gli altri come esseri umani? Le menzogne diventano verità sformate, puzzolente, nauseanti, le immagini da dentro vengono spacciate come propaganda, ma la voce delle persone che soffrono frantuma il silenzio.
In tre decenni Netanyahu e i suoi compagni di merenda ogni giorno più manifesti e incredibilmente accettati, hanno trasformato la società israeliana in ciechi, e mezzo mondo in orbi.
Ma a chi resta ancora un sussulto di umanità, un fiotto di coscienza, tutto questo è ingestibile.
Zombie in un mondo alla deriva
Siamo zombie in un mondo parallelo che ha preso la direzione sbagliata costringendoci a svegliarci da un sonno profondo per ritrovarci su un pianeta non solo fatto a pezzi, ma con le nostre anime a mollo nel sangue di chi non abbiamo più alcun mezzo per salvare, se le leggi non contano, se le istituzioni falliscono, se i governi sono sono rapiti dalle regole del più forte.
Siamo nella giungla o alla deriva. Come noi. Fermi in rada. Dove riscopriamo i nostri limiti in attesa di poter manifestare il nostro dissenso. Delle piccole barche a vela simboli di libertà e relax per dire a tutti basta, che non ci stiamo, che il sistema ha raggiunto un punto di non ritorno se non ritrova in fretta un po’ di buon senso.
I governi sono al potere per fare il bene dei propri cittadini e qui di buono non ci si vede più niente. Ed è per questo che un ministro può dire che siamo gente che va verso un genocidio a suo rischio e pericolo, o un giornale può scrivere che gli uomini e le donne della flotilla sono in vacanza e hanno legami con una militanza. Meglio invece, difendere un governo genocida che non lo vuole più neanche il suo di popolo?
Siamo fermi su una barca, ma non immobili. Siamo sommersi dal calore da chi ha ancora un briciolo di magia e riesce a farci vedere il mondo come dovrebbe essere. E ce lo trasmette scendendo in piazza, scrivendo, parlando, boicottano, contrastando la violenza che ci propinano con attenzione, aiuto, riconoscimento.
Mi piacerebbe dire anche amore. E questo ci tiene qui. Tra alti e bassi, tra difficoltà e rischi. Tra notti sotto le stelle che sono le stesse che si spengono nel cielo di Gaza violato dai droni.
Non importa chi sei
E non importa se sei un parlamentare che ha dovuto uscire dai banchi del potere per poter dimostrare invece che parlare, o un attivista che rischia la detenzione perché crede in una causa, una giornalista di un paese lontano o una che ha raccontato la Palestina per tutta la sua vita professionale.
Non importa se sei un infermiere che crede nella forza della cura comunitaria.
Non importa se sei un capitano che potrebbe veleggiare e rendere felici turisti e invece, molla tutto perché quelle immagini lo inchiodano, o il suo secondo che come lui, non ne puó più. O come chi qui sulla flotilla ogni giorno risolve ogni problema che arriva.
Non importa più nulla, solo Gaza, solo quella speranza che avvolge gli aiuti che portiamo, non importa tanto arrivare, ma dire che ci importa degli altri, dei palestinesi del mondo, della pace.
Per questo siamo qui. 9 persone estranee legati dalle onde che sono gli stessi centinaia su altre barche intorno noi.
Questa è Morgana, la nostra barca.