Una denuncia senza precedenti
La lettera di Marina Berlusconi pubblicata su Il Giornale ha rotto un silenzio che durava da anni, portando alla luce una questione che molti preferiscono ignorare: la politicizzazione di una parte della magistratura italiana. Le sue parole, nette e senza mezzi termini, hanno il merito di fotografare una realtà scomoda, dove alcuni giudici non si limitano più a interpretare la legge, ma si ergono a contropotere, influenzando la vita pubblica e privata dei cittadini. Una parte della magistratura si considera un contropotere: questa frase, semplice ma dirompente, racchiude il cuore del problema. Non si tratta di una critica generica, ma di una denuncia precisa, che chiama in causa responsabilità individuali e collettive.
Il caso Dell’Utri e la giustizia mediatica
La vicenda di Marcello Dell’Utri, assolto definitivamente dalla Corte di Cassazione dall’accusa di “pericolosità mafiosa”, rappresenta un punto di svolta. Per Marina Berlisconi, quella sentenza non è solo una vittoria personale, ma la certificazione di una verità a lungo negata: non sono mai esistiti legami tra Fininvest, Forza Italia e Cosa Nostra. Eppure, osserva con amarezza, la stampa non ha saputo riconoscere il valore di una sentenza che chiude decenni di sospetti. Al contrario, molti media hanno preferito ridurre la notizia a un “nuovo scontro”, alimentando la narrazione di una giustizia divisa e politicizzata. La verità conta solo quando va nella direzione giusta, quella del pregiudizio: questa è la critica più dura rivolta a una certa cultura giustizialista, che sembra incapace di accettare i verdetti quando non coincidono con le proprie aspettative.
La “luna nera” della magistratura
Marina Berlusconi parla esplicitamente della “luna nera” della magistratura, quella zona grigia in cui una minoranza di giudici agisce con intenti politici, trasformando i processi in strumenti di lotta. Non si tratta di una condanna generalizzata, ma di una riflessione su un fenomeno che mina la credibilità dell’intero sistema. La politicizzazione della magistratura non è una novità assoluta, ma oggi assume forme più sottili e pervasive, grazie anche al ruolo dei media. I processi mediatici, infatti, spesso anticipano e condizionano quelli giudiziari, creando un cortocircuito tra informazione e giustizia. La giustizia non può essere fatta a colpi di titoli: questa è la sfida che il Paese deve affrontare, se vuole preservare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
Il silenzio complice del sistema
Quello che colpisce, nella denuncia di Marina Berlusconi, è l’accusa di silenzio complice. Non solo una parte della magistratura si è politicizzata, ma il sistema nel suo complesso – media, politica, opinione pubblica – ha preferito non vedere, non discutere, non intervenire. Questo silenzio ha permesso che si consolidasse una prassi pericolosa, in cui la separazione dei poteri viene meno e la giustizia diventa terreno di scontro politico. La lettera invita a una riflessione collettiva: è possibile restituire alla magistratura il ruolo di garante imparziale delle leggi, o ormai il danno è irreparabile? La risposta non è scontata, ma il primo passo è riconoscere il problema, senza ipocrisie e senza paure.
Verso una giustizia più trasparente
La vicenda sollevata da Marina Berlusconi non riguarda solo una famiglia o un partito, ma investe le fondamenta stesse della democrazia italiana. La politicizzazione della magistratura e i processi mediatici sono due facce della stessa medaglia: entrambi minano la credibilità delle istituzioni e alimentano la sfiducia dei cittadini. Per uscire da questa impasse, servono riforme coraggiose, maggiore trasparenza nei procedimenti giudiziari e un impegno concreto dei media a informare senza pregiudizi. Solo così la giustizia potrà tornare a essere un bene comune, e non un campo di battaglia.
