Autocrazia morale dei progressisti: quando una minoranza giudica il Paese

Pubblicato: 25/10/2025, 07:26:414 min
Scritto da
Redazione
Categoria: Cronaca
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Autocrazia morale dei progressisti: quando una minoranza giudica il Paese

Il fenomeno dell’autocrazia morale

Negli ultimi anni, il dibattito pubblico italiano è stato segnato da una tendenza sempre più evidente: la pretesa di una minoranza progressista di ergersi a giudice morale della società. Questo atteggiamento, che alcuni osservatori definiscono autocrazia morale, si manifesta quando un gruppo ristretto, spesso culturalmente influente ma numericamente esiguo, pretende di dettare le regole del vivere comune, giudicando e condannando chi non si allinea ai suoi valori. Non si tratta di un semplice scontro politico, ma di una dinamica culturale che investe la libertà di espressione, il pluralismo e la convivenza civile. Come sottolinea Marcello Veneziani su La Verità, questa minoranza si percepisce come la “coscienza del mondo”, investita di una missione etica superiore. La sua forza non risiede nel consenso elettorale, ma nella capacità di influenzare media, istituzioni culturali e dibattito pubblico. Il risultato è una forma di intolleranza che non ammette repliche: chi dissente viene etichettato come retrogrado, immorale o addirittura pericoloso. Non si cerca il confronto, ma l’esclusione.

Le radici culturali e politiche

Le radici di questo fenomeno affondano nella crisi delle grandi narrazioni politiche del Novecento. Con il declino delle ideologie tradizionali, la sinistra progressista ha progressivamente spostato il proprio baricentro dalla lotta di classe alla difesa di valori identitari e morali. Questo passaggio, analizzato da Paolo Flores d’Arcais su MicroMega, ha trasformato il progressismo in una sorta di religione civile, con i suoi dogmi, i suoi sacerdoti e i suoi eretici. La conseguenza è una chiusura identitaria: il progressismo non si limita a proporre idee, ma pretende di imporle come uniche legittime. Chi non aderisce viene escluso dal dibattito, ridotto al silenzio o additato come nemico del progresso. Questo meccanismo, però, genera una reazione a catena: più la minoranza si sente minacciata dalla perdita di consenso, più radicalizza il proprio linguaggio e le proprie pratiche di esclusione.

Gli effetti sul dibattito pubblico

L’autocrazia morale non è solo un problema per chi viene escluso, ma per l’intera società. Il dibattito pubblico si impoverisce, perché vengono meno il confronto e la possibilità di mediazione. Le posizioni si polarizzano, la complessità viene sacrificata sull’altare della purezza ideologica. Come osserva Giovanni Orsina nel saggio “La democrazia del narcisismo”, questa dinamica rischia di trasformare la democrazia in una competizione tra identità chiuse, dove vince chi riesce a imporre la propria narrazione come moralmente superiore. In questo contesto, la libertà di espressione diventa un terreno di scontro. Non si discute più di idee, ma di chi ha il diritto di parlarne. Chi osa sfidare il dogma progressista viene sottoposto a una sorta di processo morale, spesso condotto sui social network o attraverso campagne di stampa. Il verdetto è già scritto: colpevole. Non importa la sostanza delle argomentazioni, conta solo l’appartenenza al gruppo “giusto”.

Le reazioni della società e le possibili vie d’uscita

Di fronte a questa deriva, una parte crescente della società reagisce con diffidenza o aperta ostilità. Il rischio è che si crei un circolo vizioso: l’intolleranza della minoranza genera risentimento nella maggioranza, che a sua volta si radicalizza. Il risultato è una società sempre più divisa, dove il dialogo diventa impossibile. Tuttavia, esistono anche segnali di resistenza. Alcuni intellettuali, come Nadia Urbinati su il Mulino, invitano a recuperare il valore del pluralismo e della tolleranza, ricordando che la democrazia vive del confronto tra visioni diverse. La sfida è riportare il dibattito su un piano razionale, dove le idee si misurano con le argomentazioni, non con i giudizi morali. Per uscire da questa impasse, è necessario riconoscere che nessun gruppo, per quanto culturalmente influente, può arrogarsi il diritto di decidere cosa è giusto per tutti. La democrazia non è la dittatura della maggioranza, ma neppure quella di una minoranza illuminata. Il vero progresso sta nella capacità di convivere con le differenze, senza pretendere di cancellarle.

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