Il caso e le accuse
Negli ultimi giorni, la Commissione Europea si trova al centro di un caso di portata internazionale: secondo un’inchiesta giornalistica condotta da un consorzio di testate europee, tra il 2012 e il 2018 agenti segreti ungheresi avrebbero tentato di infiltrarsi nelle istituzioni comunitarie, con l’obiettivo di monitorarne le attività e reclutare funzionari come informatori. Le accuse, che coinvolgono direttamente l’Ungheria di Viktor Orbán, sono state sollevate da europarlamentari e attivisti, che chiedono trasparenza e risposte immediate da parte delle autorità europee. La presunta rete di spionaggio avrebbe operato in modo particolarmente audace, arrivando a lavorare quasi “alla luce del sole” all’interno dell’ufficio di Olivér Várhelyi, allora ambasciatore ungherese presso l’Unione Europea e oggi commissario europeo alla Salute. Várhelyi, noto per la sua vicinanza a Orbán, è stato nominato commissario all’Allargamento nel primo mandato della presidente Ursula von der Leyen e riconfermato in un ruolo diverso nel 2024. Nonostante le accuse, Várhelyi ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento o conoscenza delle attività di spionaggio.
Le indagini giornalistiche e le fonti
L’inchiesta, pubblicata da Direkt36 (un sito ungherese di giornalismo investigativo), Le Monde e Der Spiegel, si basa su documenti riservati, testimonianze di ex funzionari e analisi di comunicazioni intercettate. Secondo queste fonti, gli agenti ungheresi avrebbero cercato di reclutare soprattutto funzionari della Commissione Europea, considerati particolarmente preziosi per accedere a informazioni sensibili sulle politiche comunitarie. L’obiettivo sarebbe stato quello di influenzare le decisioni di Bruxelles a vantaggio degli interessi nazionali ungheresi. Le modalità operative descritte nell’inchiesta sono quelle tipiche dello spionaggio: incontri riservati, pressioni psicologiche, offerte di denaro e vantaggi professionali. In alcuni casi, i tentativi di reclutamento sarebbero stati così evidenti da allarmare gli stessi funzionari europei, che avrebbero segnalato la situazione ai propri superiori. Tuttavia, secondo i giornalisti, per anni non ci sarebbero state reazioni ufficiali da parte delle istituzioni europee, lasciando spazio a sospetti di omertà o sottovalutazione del rischio.
Le reazioni politiche e istituzionali
Dopo la pubblicazione delle inchieste, la presidente von der Leyen ha annunciato l’apertura di un’indagine interna, ma ha escluso la sospensione di Várhelyi, sostenendo che non ci sono prove sufficienti per prendere provvedimenti contro di lui. La decisione ha suscitato polemiche tra gli europarlamentari, in particolare tra quelli dei gruppi di opposizione, che chiedono maggiore severità e trasparenza. Alcuni esponenti del Parlamento Europeo, tra cui Sophie in ‘t Veld (Renew Europe), hanno sottolineato la gravità delle accuse e la necessità di proteggere l’integrità delle istituzioni comunitarie. La questione non riguarda solo la sicurezza, ma anche la credibilità dell’Unione Europea di fronte ai suoi cittadini e ai partner internazionali. Altri, come Daniel Freund (Verdi/ALE), hanno chiesto l’avvio di un’indagine parlamentare indipendente, ritenendo insufficiente la risposta della Commissione. Anche la società civile e le organizzazioni per la trasparenza hanno espresso preoccupazione. Transparency International EU ha sottolineato come casi del genere minaccino la fiducia nelle istituzioni democratiche e chiede standard più elevati di controllo e accountability.
Il contesto politico ungherese
Il caso va letto alla luce del contesto politico ungherese degli ultimi quindici anni. Sotto la guida di Viktor Orbán, l’Ungheria ha progressivamente adottato politiche sempre più autoritarie, con ripetuti scontri con Bruxelles su temi come lo stato di diritto, la libertà di stampa e l’indipendenza della magistratura. La presunta rete di spionaggio sarebbe quindi parte di una strategia più ampia volta a indebolire il controllo europeo e a proteggere gli interessi del governo di Budapest. La vicinanza tra Várhelyi e Orbán è stata più volte evidenziata dai media europei, che lo descrivono come uno dei pochi commissari apertamente schierati con un governo nazionale. Questa relazione ha alimentato sospetti sulla possibilità che la Commissione Europea sia stata infiltrata da agenti fedeli a Orbán, con l’obiettivo di condizionare le politiche comunitarie a favore dell’Ungheria.
Prospettive e sviluppi futuri
Il caso è destinato a rimanere al centro del dibattito europeo nelle prossime settimane. Le indagini interne della Commissione potrebbero portare a nuove rivelazioni, ma è improbabile che si arrivi a provvedimenti drastici senza prove schiaccianti. Intanto, la pressione politica e mediatica cresce, con richieste di maggiore trasparenza e di riforme per rafforzare la sicurezza delle istituzioni europee. La vicenda solleva interrogativi più ampi sulla capacità dell’Unione Europea di difendersi da interferenze esterne e interne. La sfida non è solo individuare e punire i responsabili, ma anche costruire meccanismi di prevenzione efficaci, in grado di garantire l’indipendenza e l’integrità delle istituzioni comunitarie. In questo senso, il caso potrebbe accelerare l’adozione di nuove norme sulla trasparenza, sul conflitto di interessi e sulla sicurezza delle informazioni.