La scoperta dei chewing gum preistorici
Nell’immaginario comune, i chewing gum sono un prodotto tipico della modernità, associato alle città affollate e agli stili di vita contemporanei. Eppure, una serie di scoperte archeologiche recenti ha dimostrato che l’abitudine di masticare resine naturali risale a migliaia di anni fa. In siti come il Palù di Livenza, in Italia, e Kierikkikangas in Finlandia, sono stati rinvenuti impasti di resina di betulla masticati circa 6000 anni fa, rivelando impronte di denti e tracce di saliva umana perfettamente conservate. Si tratta di una testimonianza straordinaria, non solo di un gesto quotidiano, ma di una vera e propria finestra sulla vita degli uomini e delle donne del Neolitico. Questi “chewing gum” preistorici erano ottenuti riscaldando la corteccia di betulla per ottenere una sostanza collosa, che poi veniva modellata e masticata. La resina, una volta raffreddata, diventava dura e poteva essere riammorbidita per essere utilizzata come collante, ma anche come rimedio naturale per la salute orale, grazie alle sue proprietà antisettiche dovute ai fenoli contenuti nella betulla. Gli studi dimostrano che questa sostanza non era solo un passatempo: serviva a riparare ceramiche, a fissare punte di freccia e, probabilmente, a curare infiammazioni gengivali o afte.
Dalla resina al DNA: le vite nascoste nei chewing gum
Fino a poco tempo fa, la resina masticata era considerata poco più che una curiosità archeologica. Oggi, invece, grazie ai progressi della genetica, questi reperti si sono rivelati una miniera di informazioni. Dal DNA estratto da una “gomma” di 5700 anni fa ritrovata in Danimarca, i ricercatori sono riusciti a ricostruire il profilo genetico di una giovane donna, soprannominata “Lola”, vissuta nel Neolitico. Questo permette di gettare uno sguardo inedito su aspetti fisici, alimentazione, salute e persino sull’ambiente in cui vivevano queste comunità. Il DNA estratto da questi chewing gum preistorici ha permesso di identificare non solo il sesso e l’aspetto fisico degli individui, ma anche la presenza di batteri orali, virus e residui di cibo. Si tratta di dati preziosi, soprattutto laddove mancano resti umani diretti: la resina masticata diventa così una sorta di “capsula del tempo” biologica, che conserva tracce di vita quotidiana altrimenti perdute. Come sottolineano gli esperti, questi reperti rappresentano una fonte di antico DNA che solo recentemente è stata valorizzata appieno.
Chewing gum e vita quotidiana nel Neolitico
Ma cosa ci raccontano, nel concreto, questi chewing gum di 6000 anni fa sulla quotidianità del Neolitico? Innanzitutto, testimoniano una conoscenza approfondita delle risorse naturali e delle loro proprietà. La lavorazione della resina di betulla richiedeva competenze specifiche: la corteccia doveva essere riscaldata, poi bollita e infine raffreddata per ottenere un prodotto malleabile e versatile. Questa tecnica, diffusa in diverse regioni d’Europa, dimostra una condivisione di saperi e una certa standardizzazione delle pratiche artigianali. La resina, oltre a essere masticata, era utilizzata come collante per attrezzi e utensili, un uso che rivela un’organizzazione sociale avanzata, dove la riparazione e il mantenimento degli strumenti erano attività fondamentali per la sopravvivenza. Inoltre, la presenza di impronte dentali su questi reperti suggerisce che la masticazione fosse un’attività comune, forse anche un momento di socialità o una pratica legata alla salute, come suggeriscono le proprietà antisettiche della betulla. Gli archeologi ritengono che queste sostanze potessero avere anche una funzione rituale o simbolica, oltre che pratica.
Le implicazioni per la ricerca archeologica e antropologica
La scoperta e l’analisi di questi chewing gum preistorici hanno aperto nuove prospettive nella ricerca archeologica e antropologica. Prima di tutto, hanno dimostrato che anche i reperti più apparentemente banali possono nascondere informazioni fondamentali. In assenza di resti umani, la resina masticata diventa una testimonianza diretta della presenza umana in un sito, permettendo di datare con precisione l’occupazione e di tracciare rotte migratorie o scambi culturali. In secondo luogo, l’estrazione del DNA da questi materiali permette di ricostruire non solo il profilo genetico degli individui, ma anche il loro microbioma orale, offrendo indizi sulle malattie, sulle abitudini alimentari e sulle condizioni di vita. Questi dati aiutano a dipingere un quadro più completo e sfumato delle società neolitiche, andando oltre gli stereotipi e le generalizzazioni. La resina masticata diventa così un ponte tra passato e presente, una traccia tangibile di gesti, emozioni e bisogni che accomunano gli esseri umani di ogni epoca.
Conclusioni: una rivoluzione silenziosa nell’archeologia
I chewing gum di 6000 anni fa rappresentano una rivoluzione silenziosa nel modo di concepire l’archeologia. Non sono semplici curiosità, ma veri e propri archivi biologici che raccontano storie individuali e collettive. Grazie a loro, possiamo immaginare una giovane donna del Neolitico che mastica resina di betulla, forse per alleviare un dolore ai denti, mentre partecipa alla vita della sua comunità. Possiamo ricostruire tecniche artigianali, scambi culturali, abitudini alimentari e persino aspetti della salute che altrimenti sarebbero rimasti nel buio della preistoria. Come sottolineano i ricercatori, queste scoperte dimostrano che la storia può essere scritta anche dai gesti più semplici e quotidiani. I chewing gum neolitici ci ricordano che la vita del passato era fatta di conoscenze, bisogni e relazioni non così diversi dai nostri, e che ogni traccia, per quanto piccola, può diventare una finestra straordinaria sul mondo antico.