Niente controlli psichiatrici, ma solo prove di ragionamento: il Csm svuota i test psicoattitudinali per i…

Pubblicato: 14/10/2025, 17:46:13
Gaetano Logatto
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Gaetano Logatto
Categoria: News
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Niente controlli psichiatrici, ma solo prove di ragionamento: il Csm svuota i test psicoattitudinali per i…

Il contesto della riforma e le attese politiche

La riforma del reclutamento dei magistrati è stata tra le questioni più dibattute degli ultimi anni, con il governo che ha puntato sull’introduzione di un nuovo filtro: i test psicoattitudinali. L’obiettivo dichiarato era quello di assicurare maggiore affidabilità e solidità umana a chi sarebbe stato chiamato a giudicare, ma anche, secondo molti osservatori, di rispondere a una domanda di controllo sociale sui giudici, percepiti da una parte dell’opinione pubblica e dei partiti come una casta autonoma e talvolta distante. Il Consiglio superiore della magistratura (Csm) è stato investito del compito di definire i dettagli operativi di questi test, in attuazione della delega contenuta nel decreto legislativo 44 del 2024. La politica aveva immaginato prove severe, capaci di intercettare eventuali fragilità psicologiche o disturbi di personalità, una sorta di “forca caudina” per sbarrare l’accesso a chi non fosse pienamente idoneo sotto il profilo psichico. Tuttavia, la proposta approvata dalla Sesta Commissione del Csm ha ribaltato le aspettative: i test saranno semplici questionari finalizzati a valutare l’idoneità cognitiva, cioè la capacità di ragionamento e apprendimento, senza alcuna indagine sulla presenza di patologie psichiatriche o disturbi di personalità. Una scelta che, di fatto, svuota il senso originario della riforma, trasformando il filtro in una formalità quasi risibile rispetto alla durezza delle tre prove scritte già previste dal concorso.

Il contenuto dei nuovi test: cosa cambia davvero

La delibera della Sesta Commissione del Csm, relatori Roberto Fontana ed Eligio Paolini, ha chiarito che i cosiddetti test psicoattitudinali non avranno carattere clinico. Si tratterà di strumenti psicometrici per valutare attitudini specifiche, come la logica, la comprensione del testo, la capacità di risolvere problemi, ma non saranno mai equiparabili a test diagnostici per disturbi psichiatrici. Questa distinzione è stata resa possibile dalla scelta terminologica della legge, che parla appunto di “test psicoattitudinali” e non di “accertamenti psichiatrici”. In pratica, il candidato dovrà dimostrare di essere in grado di apprendere e ragionare, ma non sarà sottoposto a nessuna valutazione sulla sua salute mentale o sul suo equilibrio personale. Questa soluzione è stata accolta con scetticismo da chi riteneva che la riforma potesse garantire una maggiore tutela della collettività, ma anche con soddisfazione da chi temeva l’introduzione di strumenti invasivi e potenzialmente discriminatori. Il dibattito pubblico si è concentrato sull’efficacia reale di questi test: se il loro scopo è solo quello di accertare capacità già verificate attraverso le prove scritte, il loro valore aggiunto appare limitato. Resta da capire se il colloquio psico-attitudinale, previsto dalla riforma a partire dai concorsi banditi dopo il 31 dicembre 2025, potrà davvero fare la differenza nella selezione dei futuri magistrati.

Le reazioni del mondo della magistratura e degli esperti

La decisione del Csm non ha lasciato indifferenti né i magistrati né gli esperti del settore. L’Associazione nazionale magistrati (Anm) ha espresso più volte la propria contrarietà all’introduzione dei test psicoattitudinali, ritenendoli inutili, dannosi e potenzialmente offensivi. In una lettera aperta firmata da 414 magistrati, si è chiesto al Csm di esprimere un parere contrario alla proposta, sostenendo che i controlli già esistenti sono più che sufficienti e che l’introduzione di ulteriori filtri rischia di minare la fiducia nell’istituzione. Anche il mondo della psicologia e della psichiatria è intervenuto nel dibattito. La Società Psicoanalitica Italiana, attraverso un appello pubblicato su Questione Giustizia, ha espresso “la più decisa contrarietà, disapprovazione e preoccupazione” per l’introduzione dei test, sostenendo che non esistono strumenti validi e condivisi per valutare l’idoneità psicoattitudinale all’esercizio della professione di magistrato. Secondo gli esperti, la complessità del ruolo giudiziario non può essere ridotta a una serie di parametri misurabili attraverso questionari standardizzati, rischiando di banalizzare una professione che richiede sensibilità, equilibrio e capacità di giudizio.

Il confronto con gli ordinamenti europei e le garanzie procedurali

Una delle giustificazioni addotte a sostegno della riforma è stata la necessità di allineare il sistema italiano a quello degli altri Paesi europei. Un’analisi comparativa condotta dalla Nona Commissione del Csm nell’ambito della Rete europea dei Consigli di giustizia (Encj) ha evidenziato che in molti ordinamenti sono previste forme di valutazione psicoattitudinale, ma sempre nel rispetto dei principi di autonomia, indipendenza e trasparenza. Lo studio, che sarà esaminato nel prossimo plenum, sottolinea che l’adozione di questi test non è di per sé in conflitto con i principi costituzionali, purché siano garantite adeguate tutele procedurali, come la protezione dei dati e la possibilità di ricorso in caso di esito negativo. Tuttavia, la scelta italiana di limitare i test alla sola valutazione delle capacità cognitive appare atipica rispetto ad altri Paesi, dove il colloquio psicologico può avere un respiro più ampio. In Francia, ad esempio, il concorso per la magistratura prevede una valutazione più articolata della personalità del candidato, mentre in Germania l’accento è posto sulla capacità di lavorare in gruppo e di gestire lo stress. La scelta del Csm, quindi, rischia di isolare l’Italia in un panorama europeo che sta sperimentando modelli più complessi e articolati di selezione.

Conclusioni: simbolo o sostanza?

La vicenda dei test psicoattitudinali per i magistrati si è trasformata in un caso emblematico della distanza tra retorica politica e realtà istituzionale. Da una parte, il governo ha presentato la riforma come una svolta epocale, uno strumento per garantire maggiore trasparenza e qualità nella selezione dei giudici. Dall’altra, il Csm ha sterilizzato la portata innovativa della misura, riducendola a una formalità che difficilmente potrà incidere sulla qualità del reclutamento. Secondo Giuseppe Santalucia, presidente dell’Anm, si tratta di una “norma simbolo”, utile più a creare una suggestione che a rispondere a un’esigenza reale. La sfida che si apre ora è quella di capire se questa soluzione “all’acqua di rose” potrà davvero migliorare il sistema della giustizia o se, al contrario, rischia di alimentare ulteriori polemiche e sfiducia. Quel che è certo è che il dibattito sui criteri di selezione dei magistrati resterà centrale nel confronto politico e istituzionale dei prossimi anni, anche alla luce delle esperienze degli altri Paesi europei e delle sempre più pressanti richieste di trasparenza e accountability da parte dell’opinione pubblica.

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