Eisenhower aveva previsto tutto: ma è un monito che l’Europa non ascolta - VP News - Vietato Parlare

Pubblicato: 03/10/2025, 16:18:55 ·
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Il monito di Eisenhower sul complesso militare-industriale risuona oggi più che mai: l’Europa del riarmo sembra ignorarlo

Sessant’anni dopo l’avvertimento del generale-presidente, l’Europa costruisce la propria sicurezza proprio sulla logica che lui temeva. Il 17 gennaio 1961, nel suo discorso d’addio alla Casa Bianca, Dwight D. Eisenhower non parlò come un politico qualsiasi. Era stato il generale supremo delle forze alleate in Europa, colui che aveva coordinato lo sbarco in Normandia e guidato l’Occidente alla vittoria contro il nazismo. Nessuno più di lui conosceva il peso della guerra e l’enorme apparato industriale necessario a sostenerla. Negli anni Cinquanta, aveva visto crescere come mai prima la spesa militare americana: nel 1960 il Pentagono assorbiva quasi il 60% del bilancio federale, e negli Stati Uniti erano sorte intere città-fabbrica dedicate alla produzione di missili, bombardieri, portaerei. La Guerra Fredda stava trasformando l’economia e la politica in una mobilitazione permanente. Eisenhower, uomo di disciplina militare ma anche di sobrietà morale, sapeva che un paese che vive “sempre in allerta” rischia di consegnare la democrazia a un blocco di interessi insaziabili. Per questo parlò per la prima volta di “complesso militare-industriale”, una formula che all’epoca suonò sorprendente e persino scomoda. Il suo timore era semplice ma radicale: che l’alleanza tra generali, politici e industrie belliche potesse crescere fino a condizionare ogni decisione, trascinando le nazioni in conflitti non per necessità ma per convenienza. E’ per questo che pronunciò quell’avvertimento memorabile: «Dobbiamo guardarci dall’acquisizione di un’influenza indebita, cercata o meno, da parte del complesso militare-industriale. Il potenziale di un disastroso incremento di potere fuori luogo esiste e persisterà. Quelle parole, spesso citate e raramente ascoltate, non erano una teoria astratta. Eisenhower vedeva crescere davanti ai suoi occhi una macchina di interessi economici e politici che rischiava di piegare la democrazia alle logiche della guerra permanente. Eisenhower warned that the military-industrial complex could endanger democracy by locking power into secrecy and profit. If whistleblower allegations are accurate, defense contractors and their government partners have had every incentive to conceal non-human materials because… pic.twitter.com/VQXDu3cjPN — Disclosure Party (@disclosureorg) September 20, 2025 Dalla profezia americana alla realtà europea Sessant’anni dopo, quel monito non riguarda solo gli Stati Uniti. In Europa, la Commissione ha lanciato programmi come ASAP, EDIRPA, EDIS/EDIP, che segnano un passaggio epocale: non più solo cooperazione tra eserciti, ma riconversione industriale strutturale verso la produzione bellica. Si parla di “sovranità europea” e di “difesa comune”, ma i fatti mostrano che la priorità è creare un mercato integrato per l’industria delle armi. E qui sta l’attualità di Eisenhower: anche in Europa il legame tra industria e politica rischia di diventare un blocco di potere autosufficiente, capace di imporre la sua agenda al di sopra dei governi e dei cittadini. Un segnale in questa direzione è arrivato dalla Germania. Come ha riportato Bild, il cancelliere Friedrich Merz (CDU) ha cambiato tono nei confronti delle associazioni economiche. Se in passato mostrava comprensione per le preoccupazioni di imprenditori e manager, oggi reagisce con fastidio alle loro critiche, invitandoli a smettere di lamentarsi e ad allinearsi alla linea del governo. Nei colloqui interni avrebbe detto: “I problemi del Paese possono essere risolti solo insieme: politica ed economia”. Un’affermazione che sembra un richiamo alla collaborazione, ma che in realtà suona come un ammonimento: collaborazione sì, ma entro la cornice decisa dal governo. E la “chiave di soluzione” che Merz propone non è una tra le possibili, ma l’unica ammessa, quella che tutti noi stiamo vedendo dispiegarsi con chiarezza: il consolidamento dell’asse politica-industria nel nome della “sicurezza” e del riarmo. Il nemico designato Attenzione: qui non si tratta di una “sicurezza” intesa come capacità di prevenire o affrontare minacce reali per la popolazione. La Russia è stata scelta come nemico designato, il più credibile agli occhi dell’opinione pubblica, perché senza un nemico riconoscibile l’intero impianto di riarmo non starebbe in piedi. Così, vediamo misure che vanno ben oltre la difesa: sanzioni estese, invio massiccio di armamenti, appoggio a operazioni segrete, marginalizzazione dei canali diplomatici, umiliazioni pubbliche, perfino l’esclusione dalle competizioni sportive e dalle occasioni culturali. Tutto questo non costruisce sicurezza; la erode. Quando la politica rifiuta il buon vicinato e privilegia esclusivamente la pressione e la punizione, la logica che ne deriva è semplice e pericolosa: la forza armata, consolidata come prima risposta, finirà prima o poi per essere usata. La minaccia viene percepita su entrambi i lati, la diffidenza cresce, si moltiplicano rivendicazioni e distacco: non si forgia sicurezza, si produce un clima di ostilità permanente. La guerra favorisce le concentrazioni di ricchezza In più, le armi contemporanee non sono solo strumenti di deterrenza: sono tecnologie in grado di moltiplicare la distruzione e di prosciugare risorse cruciali dalla vita civile. I circuiti speculativi e certe élite economiche — indifferenti al prezzo umano — vedono in tutto questo un’opportunità di lucro. Persone come Merz osservano con soddisfazione il flusso di denaro pubblico verso i grandi gruppi industriali: la distruzione provocata dalla guerra genera attività economica che, paradossalmente, non si traduce in inflazione diffusa se le risorse non raggiungono i cittadini comuni. La scarsità viene mantenuta dove conviene al potere economico; la ricchezza si accentra altrove. Questo non è un effetto collaterale: è una dinamica sistemica in cui il riarmo, la politica e il profitto si alimentano a vicenda, a scapito della pace e della coesione sociale. È un dettaglio che sembra marginale, ma non lo è. La richiesta di Merz di allineamento senza critiche è il riflesso della stessa dinamica che Eisenhower aveva descritto: quando politica ed economia diventano un tutt’uno in nome della sicurezza e della stabilità, si consolida il rischio di un potere che non ammette alternative, e la democrazia si riduce a consenso forzato. Emergenza come normalità Dopodichè è da notare un’altra cosa. Per giustificare questa svolta, il linguaggio è sempre quello dell’emergenza: - prima il clima, - poi la pandemia, - ora la guerra. Ma in ogni caso, la risposta è la stessa: accumulare potere in nome della sicurezza. Così, il “complesso militare-industriale” non è più una realtà esterna agli Stati, ma diventa l’ossatura stessa dell’Unione Europea che si presenta come progetto di pace ma sceglie la via della produzione permanente di strumenti di guerra. Il prezzo umano nascosto Nel frattempo, le lacrime spese per il clima o per le disuguaglianze non impediscono che migliaia di giovani muoiano in conflitti che potevano essere fermati con il negoziato. E questo non è un incidente, ma la conseguenza logica di un sistema che trae beneficio dalla prosecuzione della guerra più che dalla sua conclusione. Eisenhower aveva previsto proprio questo: che una volta messo in moto, il complesso militare-industriale non avrebbe più avuto interesse a fermarsi. Un richiamo per l’oggi Ecco perché vale la pena ripartire da Eisenhower. Non come citazione retorica, ma come criterio di giudizio: ogni volta che un leader europeo invoca “difesa”, “resilienza”, “investimenti per la sicurezza”, occorre chiedersi chi davvero guadagna da queste scelte. Il monito del generale-presidente non è il ricordo di un passato lontano, ma una chiave per leggere il presente: l’Europa che sacrifica libertà e risorse sull’altare del riarmo rischia di cadere proprio nella trappola che Eisenhower aveva annunciato. ☕ Ti piace quello che stai leggendo? Aiutaci a mantenere viva e senza censure questa voce indipendente.

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