Israele, Qatar e le sfide alla sicurezza nel Golfo: tra garanzie esterne e difesa regionale - Geopolitica.info

Pubblicato: 01/10/2025, 17:37:31 ·
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L’attacco israeliano a Doha ha evidenziato la vulnerabilità delle monarchie del Golfo e ha riacceso il dibattito sulla dipendenza da garanzie di sicurezza esterne, in particolare quelle fornite dagli Stati Uniti, e sulla possibilità di rafforzare la cooperazione difensiva all’interno del GCC.

L’attacco israeliano a Doha ha evidenziato la vulnerabilità delle monarchie del Golfo e ha riacceso il dibattito sulla dipendenza da garanzie di sicurezza esterne, in particolare quelle fornite dagli Stati Uniti, e sulla possibilità di rafforzare la cooperazione difensiva all’interno del GCC. L’attacco israeliano contro Doha del 9 settembre, ha rappresentato un evento di rilevanza regionale. Israele ha dichiarato di aver preso di mira un complesso situato nell’area di West Bay Lagoon, dove si trovavano leader di Hamas, tra cui Khalil al-Hayya e Khaled Meshaal, riuniti per discutere le proposte di cessate il fuoco relative al conflitto in corso a Gaza. È la prima volta che uno Stato membro del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) viene colpito direttamente da un’operazione militare di questo tipo, in un contesto già caratterizzato da tensioni crescenti. L’episodio ha portato i leader della regione a convocare un vertice straordinario a Doha il 15 settembre, nel quale sono state espresse dichiarazioni di solidarietà nei confronti del Qatar e condanne dell’accaduto. L’evento ha inoltre sollevato interrogativi sulla capacità delle strutture di sicurezza esistenti di prevenire simili episodi. Nonostante la presenza della base aerea di al-Udeid, sede del comando avanzato del US Central Command, l’attacco non è stato impedito, facendo emergere dubbi sulla reale efficacia della partnership strategica con Washington. Israele, Doha e le implicazioni per la sicurezza regionale Secondo alcune ricostruzioni, Israele avrebbe informato l’amministrazione statunitense dell’operazione poco prima del suo avvio, mentre altre fonti parlano di una comunicazione avvenuta solo a operazione in corso. In entrambi i casi, l’attacco ha posto l’attenzione sulla capacità – e sulla volontà – di Washington di esercitare un ruolo di deterrenza nei confronti di azioni che possano destabilizzare la regione. Per Doha, che nel 2022 è stata designata “Major Non-NATO Ally”, l’episodio ha avuto anche un valore simbolico. Il Qatar ha investito per decenni nella cooperazione militare con gli Stati Uniti, ospitando personale e mezzi statunitensi sul proprio territorio. L’attacco ha sollevato interrogativi interni sul significato e sulla portata concreta di questo rapporto di sicurezza, soprattutto considerando che si tratta di un’aggressione subita mentre la presenza statunitense nella regione resta significativa. Gli altri membri del GCC hanno espresso preoccupazioni simili. Negli ultimi anni diversi eventi hanno messo in discussione la solidità della protezione americana, come la risposta limitata agli attacchi contro le infrastrutture petrolifere saudite nel 2019 e alle offensive degli Houthi contro Abu Dhabi nel 2022. L’azione israeliana ha accentuato queste perplessità, rafforzando l’idea che la regione non possa fare pieno affidamento su un’unica potenza esterna. Parallelamente, Israele ha adottato un atteggiamento sempre più assertivo sul piano regionale, con operazioni militari non solo in Qatar, ma anche in Iran, Yemen, Libano e Siria. Questo ha contribuito ad alimentare la percezione di instabilità tra le monarchie del Golfo, che vedono nelle azioni israeliane un fattore di rischio aggiuntivo per la sicurezza e la stabilità economica dei propri progetti di sviluppo. Il dibattito su un patto di difesa con gli Stati Uniti Negli ultimi anni l’Arabia Saudita ha avanzato la proposta di un patto di difesa formale con gli Stati Uniti, simile a quelli che Washington mantiene con Paesi NATO e partner asiatici come Giappone e Corea del Sud. Tale accordo, ratificato dal Congresso, vincolerebbe legalmente gli USA a intervenire in caso di aggressione contro Riyadh o altri Stati membri del GCC. Nel 2023 e nel 2025 sia l’amministrazione Biden sia quella Trump hanno considerato questa possibilità, collegandola alla normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele. Tuttavia, la proposta non è stata realizzata a causa di divergenze politiche, in particolare sulla questione palestinese. Anche se fosse stato firmato, un patto di difesa non garantirebbe automaticamente un intervento militare. L’esperienza della NATO mostra che l’articolo 5 prevede consultazioni tra gli alleati, senza un obbligo immediato di risposta armata. Questo elemento contribuisce a mantenere un margine di incertezza, anche in presenza di accordi formali. Parallelamente, il 17 settembre, Riyadh ha firmato un trattato di sicurezza con il Pakistan. Sebbene rilevante sul piano strategico, l’accordo presenta limiti operativi: le forze pakistane restano principalmente concentrate sulla sicurezza interna e sul confronto con l’India, riducendo la possibilità di un impegno militare costante nel Golfo. Cooperazione difensiva nel GCC: prospettive e ostacoli Alla luce di queste dinamiche, diversi analisti e osservatori regionali hanno rilanciato l’ipotesi di rafforzare la cooperazione difensiva all’interno del GCC. Il Consiglio aveva già tentato di sviluppare strutture comuni a partire dagli anni ’80 con la creazione della Peninsula Shield Force, impiegata una sola volta, nel 2011, in Bahrain. Tuttavia, divergenze politiche e rivalità tra gli Stati membri, come la crisi diplomatica del 2017 che portò al blocco imposto contro il Qatar, hanno limitato l’efficacia di tali iniziative. L’attacco a Doha ha temporaneamente attenuato queste divisioni, favorendo una risposta unitaria. Nel vertice straordinario convocato dopo l’evento, i leader del GCC hanno dichiarato l’intenzione di “attivare un meccanismo di difesa congiunto”, sebbene non siano stati forniti dettagli operativi. Un percorso graduale potrebbe iniziare rafforzando il coordinamento logistico tra i vari Paesi del Consiglio, migliorando al tempo stesso l’innovazione tecnologica e incentivando la produzione congiunta di sistemi di difesa. A ciò si aggiungerebbe una maggiore condivisione di intelligence, fondamentale per prevenire e rispondere in modo tempestivo alle minacce, e l’integrazione della difesa aerea e missilistica, elemento cruciale per contrastare attacchi come quello recentemente subito dal Qatar. Questi interventi, se attuati in maniera coerente, permetterebbero di ridurre la dipendenza da fornitori esterni e di costruire una deterrenza collettiva più credibile, con gli Stati Uniti che continuerebbero a svolgere un ruolo di supporto e consulenza, senza essere considerati l’unico pilastro della sicurezza regionale. Le difficoltà restano però significative. Emirati Arabi Uniti e Bahrain mantengono relazioni ufficiali con Israele attraverso gli Accordi di Abramo, mentre il Qatar segue una politica estera autonoma, spesso divergente da quella di Riyadh e Abu Dhabi. La traduzione di una solidarietà espressa in momenti di crisi in un progetto strutturale richiede un impegno politico di lungo periodo. L’attacco israeliano a Doha ha rappresentato un momento di svolta per la sicurezza del Golfo. L’episodio ha evidenziato i limiti delle garanzie esterne e la necessità di esplorare alternative che includano sia il rafforzamento delle strutture regionali, sia la diversificazione delle partnership strategiche. Il futuro del GCC dipenderà dalla capacità delle monarchie di superare rivalità storiche e di costruire meccanismi di cooperazione stabile. Sebbene complesso, questo percorso appare sempre più necessario in un contesto caratterizzato da minacce crescenti e da un equilibrio regionale in continua trasformazione.

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