Annalisa: «Serve più tatto quando si parla di maternità, spesso sono le donne stesse a essere troppo leggere. Adotterei volentieri con tutto il cuore e tutta la mente. Sanremo? Ora non è nei piani»

Pubblicato: 30/09/2025, 11:45:54 ·
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Sta per tornare con il nuovo album Ma io sono fuoco, che promette di fare scintille. Intanto con noi Annalisa si racconta a tutto tondo: nonna Rosa, la paura di invecchiare, il Festival, il prezzo della fama, «la routine matrimoniale che è un po’ raminga e le arepas

Questa intervista ad Annalisa è pubblicata sul numero 41 di Vanity Fair in edicola fino al 7 ottobre 2025. Il giudizio che teme di più è quello della signora Maura. «Mia mamma è molto severa. In corso d’opera fa critiche dritte ma garbate. E nove volte su dieci ha ragione. La canzone del nuovo disco che preferisce è Esibizionista. Perché non è una ballad piena di emozioni: lei non le condivide volentieri, sceglie di filtrarle. E in questo siamo simili. Le emozioni che oggi Annalisa non riesce a filtrare sono quelle che le scatena Ma io sono fuoco. «C’è la paura di aprire un altro pezzo del mio mondo alla gente, c’è l’ansia da prestazione: non dormo la notte per i pensieri-matrioska, uno apre l’altro. Del resto le aspettative sono alte, se sei l’artista donna più certificata con 52 dischi di platino e 14 d’oro, e la prima italiana a essere stata premiata ai Billboard Women in Music di Los Angeles. Incontriamo la cantautrice ligure di Carcare, in provincia di Savona, a una manciata di giorni dall’uscita dell’album il 10 ottobre. Indossa un cappellino nero calato sulla frangetta, una T-shirt viola stile rugby, jeans grigi e anfibi stringati. Arriva dalle prove del tour nei palasport, in partenza da Jesolo il 15 novembre, già sold out come altre date, comprese le due di Milano. «Più impegni ho, più il livello d’ansia scende. Vuole farci ascoltare i brani che «meglio rappresentano le anime del progetto: racconti emozionali e storie più crude, pop contemporaneo e sonorità anni ’80. Com’è passata dal Vortice al Fuoco? «È un proseguimento naturale. I ritmi dell’industria musicale sono cambiati, vanno veloci, per cui non c’è più uno stacco netto tra gli album. Mi sono chiesta: qual è lo step successivo? Reagire al vortice della vita, trasformare in opportunità quello che accade, bruciare per evolvere. Ha usato ancora tanta ironia per veicolare messaggi importanti. «Con Raffaella Carrà la gente credeva di canticchiare delle canzoncine, invece i contenuti erano di valore, di peso. Mi piace da morire questo approccio. E con tutta l’umiltà dell’universo cerco di seguirlo anch’io. Nel disco ha messo altre collaborazioni, oltre a quella con Marco Mengoni per Piazza San Marco? «Sì, Paolo Santo, con il quale scrivo da sempre: mi accompagna in Avvelenata. Instagram content Ai Tim Music Awards Carlo Conti ha bacchettato scherzando lei e Mengoni: «Non potevate presentare il pezzo a Sanremo?. Marco ha spiazzato i fan: «Mai dire mai. (Ride, ndr). Torna in gara l’anno prossimo all’Ariston o no? Circolano già rumor e nomi… «In questo momento non è nei piani. Magari lo condurrebbe il Festival? «Non so se ne sarei capace. Potrei arrivarci in futuro, però non adesso che sono concentrata sulla musica. Fare il giudice in un talent gliel’hanno mai offerto? «Mi pare di no. Semmai glielo offrissero? «Sono stata dall’altra parte e so che è un’esperienza che ti segna per sempre, in senso positivo o negativo. Perciò accetterei, ma con un senso di responsabilità enorme e le dovute precauzioni. Sì, mi rendo conto di essere un po’ pesante. Pensa mai dove sarebbe, se non fosse entrata ad Amici 2010-2011? «Sono certa che farei comunque questo mestiere. Ho partecipato a provini su provini finché non mi hanno presa lì, avrei continuato a bussare a tutte le porte. Per me la musica non lascia spazio a una dedizione e a una determinazione diverse. Ricordo ancora la sensazione della prima sera ad Amici, appena ammessa: dopo la gioia, le lacrime che non riuscivo a fermare, perché sentivo dentro che la mia vita stava per cambiare radicalmente. È una delle immagini che meglio rappresenta la gavetta. Quali sono le altre? «Mi viene in mente uno dei primissimi live, forse a 14 anni, con la mia band. Ci chiamavano i Llerotram Rose, un nome assurdo, ma volevamo fare gli intellettuali e le cover in piazza. La formazione era quella classica, stereotipata: i musicisti erano maschi, più grandi d’età, la cantante ero io. Poi, ho avuto una seconda band, con cui scrivevo i pezzi. Suonavano in club microscopici, davanti a una ventina di persone, molte delle quali erano alunni di mio papà, professore di matematica, che li obbligava a venirmi a vedere. Ha sempre avuto il supporto dei suoi genitori? «Non mi hanno mai ostacolata, nonostante avessero sperato altro per me. Hanno avuto da subito un approccio molto concreto: hanno cercato un insegnante per le lezioni di pianoforte e di canto; hanno insistito affinché, finito il liceo, frequentassi l’università. Della serie: fai quello che vuoi, senza però sacrificare il resto. Siamo gente così, che tiene i piedi per terra, non si monta la testa e non pensa che le cose vadano per forza bene, anzi… Infatti un po’ più di incoraggiamento mi sarebbe piaciuto, ma è proprio mentalità. Che cosa se ne fa ora della laurea in Fisica? «Me ne vanto (ride, ndr). Da dove arriva la passione per la musica? «È istinto e genetica. Mia mamma, professoressa anche lei, avrebbe potuto cantare perché è bravissima, non l’ha fatto per scelta. Dalla parte della sua famiglia ci sono poi altri musicisti. Compresa la mitica nonna Rosa? «Che donna! Tutto poteva. Era estroversa, chiacchierona, piena di amiche, amante del mangiare e del bere bene, del godersi la vita. Il contrario di sua figlia: rigorosa, riservata, che non ammette sgarri. Lei è preoccupata di invecchiare? «Di brutto. Ad agosto ha compiuto 40 anni. Ha detto che si sarebbe chiusa in casa e avrebbe pianto lacrime amare. «Alla fine sono uscita a cena con i miei genitori e mio marito, e mi sono levata il pensiero del compleanno. Nessuna festa memorabile? «Tutti a insistere che avrei dovuto organizzarla, ma sarebbe stata fonte di ulteriore ansia da prestazione. È favorevole alla chirurgia estetica? «Non ho ancora fatto niente, perché ho paura. Però sono favorevole. Mi spiace solo quando vedo ragazze bellissime che, già da giovani, si cambiano i connotati: forse è un po’ troppo, ma del resto non sono cazzi miei. Sente la responsabilità di essere un modello? «Provo a esserlo, raccontando con la musica storie che vorrei fossero state raccontate a me. Per esempio, come scardinare gli stereotipi di genere. «Nel mio mondo esiste ancora la tendenza a credere che noi artiste non scriviamo i pezzi da sole, che siamo marionette capaci di eseguire ciò che ci viene suggerito: “Cantate questo, indossate quello, muovetevi così”. Non abbiamo paura della fatica, però ci dispiace doverla fare per guadagnare credibilità in quanto donne. E mentre siete poche in classifica, non mancano al contrario i trapper che firmano testi misogini. Prenderebbe in considerazione una collaborazione con uno di loro? «Non è un no a priori. Vorrei prima conoscere la persona, approfondire gli aspetti più controversi, e poi decidere. Magari, alla fine, eviterei, ma non senza ponderare. Che cosa ha pensato quando ha visto Elly Schlein del Pd cantare e ballare sulle note di Mon amour? «Il contesto, ovvero il carro del Gay Pride, era giustissimo, importante e coerente con il messaggio di amore libero del brano. Mi sono detta: il pezzo è davvero arrivato. E quando ha scoperto l’imitazione di Brenda Lodigiani al GialappaShow, che cosa ha pensato? «Ho cominciato a ricevere un sacco di messaggi e sono diventata di tendenza sui social: mi sono preoccupata, non stavo guardando la tv e non avevo idea della parodia. Poi mi sono rasserenata. Ho anche sentito Brenda di recente. Qual è per lei il prezzo peggiore della fama? «L’invasione della privacy. Che cerco di prevenire, per esempio rinunciando ad andare alle feste dove so che c’è tanta gente. Come reagisce suo marito a eventuali gossip che la riguardano? «(Ride, ndr) Gli sono venute le spalle larghe così (allarga le braccia, ndr). Un bilancio della vita matrimoniale? «Sa che non è cambiato niente rispetto a prima?. Chi fa cosa a casa? «È difficile rispondere, la nostra è una routine un po’ raminga. Ci dividiamo tra Genova, che è importante per il lavoro di Francesco (Muglia, manager di Costa Crociere, ndr), Milano, che è importante per il mio di lavoro, e Carcare, dove vivono i miei e dove ho davvero bisogno di tornare: è un microcosmo di cinquemila abitanti in cui mi scarico e ricarico. Lì sono “Annalisa” e basta, nessuno mi ferma per strada o fa caso a me, ritrovo gli amici d’infanzia, vado a prendere l’aperitivo con loro vestita come capita. Comunque, tra pulire e cucinare, preferisco cucinare. Il piatto che le riesce meglio? «Le arepas, da quando ho scoperto di essere celiaca. Le arepas? «Non le conosce? In pratica sono la versione colombiana-venezuelana della piadina: focaccine di farina di mais senza glutine imbottite con la farcitura, che le rende belle cicciotte. Non si piegano in due però. È difficile stare in una relazione a distanza? «A noi va benissimo che ognuno abbia la sua carriera e i suoi spazi per poi incontrarci. Ecco, far combaciare le agende non è sempre facile. È vero che le donne cercano il padre negli uomini che finiscono per amare da adulte? «Fisicamente Francesco non c’entra proprio con mio papà, zero. Però ha il suo stesso spirito d’iniziativa, la medesima forza e spinta senza paura verso le cose. È gelosa? «Un pochino. E suo marito lo è di lei? «Siamo pari. L’album precedente è uscito poco dopo il matrimonio e nelle interviste tutti a chiederle se fosse incinta. «Ho semplicemente smentito, l’ho fatto anche con ironia. Non è stato spiacevole, però mi sono ritrovata a doverne parlare più di quanto avrei voluto. Trovo che in generale serva molto più tatto quando si affronta il tema della maternità, e spesso sono le donne stesse a essere troppo leggere di fronte a un argomento estremamente sensibile e a scelte che possono essere difficili. Lei sente la pressione della società per cui una donna è considerata completa solo se diventa madre? «No, non la sento. Però, per esempio, ho percepito che, una volta sposata, fosse scontato che dovessi avere figli. Adotterebbe? «Sarebbe una decisione importantissima, che prenderei volentieri con tutto il cuore e tutta la mente. In un’industria musicale dove fermarsi equivale a sparire, come vivrebbe un’eventuale pausa «forzata per un bambino o altro? «Perché fermarsi? Mi piacerebbe piuttosto seguire le orme di alcune colleghe che hanno trasformato la gravidanza in un progetto artistico, hanno messo la fisicità e le sensazioni di quel momento al servizio della creatività. Mi aveva colpito il concept dell’album di Halsey (If I Can’t Have Love, I Want Power, ndr) a partire dalla maternità, in cover teneva in braccio un neonato e aveva il seno sinistro scoperto. Non ha mai sentito comunque il bisogno di fermarsi, come invece è già accaduto a colleghi giovanissimi? «Mai. La velocità del nostro mondo è reale, a me salva concentrarmi sempre su una cosa per volta, rispettando i miei ritmi, senza bruciare le tappe. Per non bruciare le tappe non ha ancora fatto gli stadi? «Se si fosse presentata l’opportunità, non sarebbe stata una tappa bruciata: non sono una ragazzina, sto sulle scene da 15 anni. Gli stadi sono per me una strategia da pianificare con serietà, un bell’orizzonte a cui non smettere di guardare. Anche lei ha la sensazione, condivisa da alcuni cantanti, che «se non riempite i concerti siete sfigati? «Purtroppo questa tendenza a semplificare e a stigmatizzare tutto esiste e non fa bene. Senza alcuna presunzione, noi artisti siamo argomento di conversazione e spesso al centro di prese di posizioni gratuite bianche o nere: non si considerano i grigi, il lavoro che c’è dietro i live. Che cosa pensa dei colleghi che portano sul palco messaggi politici? «Quando uno lo desidera, è onesto che si esponga con sensibilità e grazia, specie se ha una storia che dà forza alle sue parole. Il suo prossimo tour potrebbe essere l’occasione per esporsi su Gaza? «Non ci ho ancora riflettuto, ma potrebbe assolutamente essere. A che punto è della preparazione? «La scaletta è definita: una trentina di canzoni per due ore di concerto. E la preparazione fisica? «Sa qual è il mio peggior difetto? La pigrizia: se non ho voglia di fare certe cose non c’è modo di farmele fare. E l’allenamento è una di quelle cose. Certo, mi pesa meno in vista del tour, perché mi gasa. Potrei mettere in pratica uno dei versi di uno dei brani del nuovo album, Io sono: Ballo per lo spirito / prego per il fisico. Servizio Susanna Ausoni Hanno collaborato Filippo Casaroli e Jessy Hu Make-up Manuele Mameli Hair Andrea Pirani Per abbonarvi a Vanity Fair, cliccare qui.