Martedì 23 Settembre 2025
ANTONELLA COPPARI
Politica

Meloni a Fenix attacca la sinistra (e cita Silvio): “Noi mossi dall’amore, non dall’odio”

La premier chiude il raduno dei giovani di Fratelli d’Italia. Da Kirk al Sessantotto fino al ricordo di Ramelli. “Ma non avevamo paura allora e non ne abbiamo adesso”. Poi la promessa: “Continuo a mettercela tutta”

Meloni a Fenix attacca la sinistra (e cita Silvio): “Noi mossi dall’amore, non dall’odio”

Roma, 22 settembre 2025 – È il giorno dedicato alle celebrazioni del martire della destra occidentale: Charlie Kirk. Per Salvini, coincidenza fortunata, cade mentre la Lega compie il rito di Pontida. E quindi no, Giorgia Meloni in silenzio, lasciando tutta la scena agli alleati, proprio non poteva stare. L’intervento alla festa di Gioventù nazionale non è una novità, ma stavolta la premier s’incarica della chiusura in grande stile. E non risparmia niente a nessuno. Ventisette minuti di discorso sul palco di Fenix al laghetto dell’Eur per coprire mezzo secolo: dalle Brigate rosse al Sessantotto, da Kirk a Sergio Ramelli. Un mix calcolato di vittimismo e aggressione.

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Giorgia Meloni sul palco di Fenix, la festa dei giovani di Fratelli d'Italia (Ansa)

L’esordio non può che essere dedicato al fondatore di Turning Point Usa, ucciso nello Utah: “Era pericoloso perché smontava la narrazione imposta dal mainstream con la logica”. Picchia duro sui “moralizzatori” che hanno “riempito le pagine di commenti” sui giovani di FdI (chiaro il riferimento all’inchiesta di Fanpage sui saluti romani e i cori antisemiti), ma non hanno detto “mezza parola” sull’ignobile post “pubblicato dai sedicenti antifascisti” con l’immagine dell’attivista del mondo Maga a testa in giù e la scritta “meno uno“. “Non ci facciamo fare la morale da questa gente”, scandisce. Noi, insiste, siamo “fieri di non essere come loro”, come “chi pensa di poter imporre con la forza le proprie convinzioni”, o “chi considera meno preziosa la vita di chi non la pensa come loro”. Diapositive proprie “non della sinistra italiana, ma della sinistra mondiale”. Noi, invece, chiosa “siamo mossi dall’amore, non dall’odio”. Frase rubata a Silvio Berlusconi, giusto per allargare la cornice simbolica.

Il salto a ritroso è rapido: va indietro di 50 anni per citare Sergio Ramelli, martire storico della destra italiana. Il parallelo con Kirk è palese: “Le minacce si moltiplicano ma non abbiamo paura. Non avevamo paura ai tempi in cui potevi essere ammazzato a colpi di chiave inglese per aver scritto un tema sulle Brigate rosse, non abbiamo paura oggi e non l’avremo domani”.

Davanti a una platea di giovani in maglia bianca – guai a definirli meloniani – evita temi caldi come guerra, manovra e Regionali. Punta tutto sull’identità. Di fatto, apre la campagna elettorale. Il bersaglio? Sempre lo stesso: il Sessantotto e la sinistra, che ne sarebbe l’erede diretta.

Meloni proclama la crociata contro quel Movimento i cui raggi mortali hanno ancora, a suo parere, effetti nefasti. Lo fa rivendicando la riforma dell’accesso alla facoltà di Medicina, “una rivoluzione basata sul merito, parola che la sinistra sessantottina voleva cancellare”, e la nuova maturità, introdotta “perché non ne possiamo più dei disastri del ’68, il sei politico, una meritocrazia fondata su una distorta idea di uguaglianza”. Poi c’è la sicurezza, cavallo di battaglia di una destra sempre più trumpizzata. Giorgia non se la dimentica e del resto non potrebbe farlo, dal momento che a Pontida su quel tasto ha martellato con la delicatezza di un fabbro il generale Roberto Vannacci. Rivendica il decreto contro occupazioni abusive, truffe agli anziani e accattonaggio, e respinge le accuse di autoritarismo: “Quali libertà neghiamo? Difendiamo i cittadini”.

Qualche battuta se la concede, come quando taglia l’intervento perché il derby della capitale incombe “e non voglio fare la fine di Fantozzi, con la corazzata Potëmkin e le radioline”. Dalla platea una ragazza urla: “Forza Lazio”. Meloni sorride: “Stai calma”. La giornata è lunga: l’occupazione della scena richiede che Giorgia passi dalla violenza alla cucina raffinata a Domenica in. Prima, però, l’ultima promessa: “Continuerò a mettercela tutta, abbiamo per le mani un’occasione storica che non possiamo permetterci di sprecare”. Non è improvvisazione, è strategia. E conferma che l’assimilazione della destra italiana a quella americana non è più solo una suggestione. Il problema? A contendersi il titolo di “più trumpiano del bigoncio“ non sono in due ma in tre: Meloni, Salvini e ora anche Vannacci.