Gesù e gli apostoli

 

XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) – 21 settembre 2025

Am 8,4-7; 1Tm 2,1-8; Lc 16,1-13

 

di don Ambrogio Clavadei

 

È sempre stato uso comune che si facciano prigioniere persone per chiedere un riscatto, e ciò specialmente nelle guerre antiche, oppure nei nostri tempi come frutto di banditismo o terrorismo. Ebbene, anche il serpente antico alle origini ha scatenato una guerra del tutto speciale contro l’uomo (cfr. Gn 3, 1-7) e noi tutti di conseguenza siamo caduti preda della sua orrida eversione. 

Chi ha potuto saldare il nostro riscatto? Nessuno poteva pagare a sufficienza: “Nessuno può riscattare se stesso o dare a Dio il suo prezzo” (Sal 48, 8). Questo tipo di riscatto non esigeva infatti denaro ma un prezzo di sangue, un prezzo così elevato che solo Dio poteva pagarlo al nostro posto, certo non per saldare un debito al diavolo ma per amore del nostro essere caduti in ogni caso sotto il suo dominio (cfr. At 10, 38; Eb 2, 14). San Paolo ce lo annuncia a pieno titolo, anche se questa teologia del “riscatto” (che certo non è l’unica spiegazione della necessità della Croce) non è certo molto di moda oggigiorno, a differenza del pensiero patristico e medievale: “Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti”.

Sulla Croce quindi noi tutti siamo stati riscattati: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno” (Gal 3, 13) e riscattati a caro prezzo: “Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l’argento e l’oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma si è manifestato negli ultimi tempi per voi. E voi per opera sua credete in Dio, che l’ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria e così la vostra fede e la vostra speranza sono fisse in Dio” (1 Pt 1, 18-21). 

Di conseguenza, dopo questo riscatto, da una parte ogni uomo vale il sangue di Cristo, quel sangue mediante il quale noi – per grazia – recuperiamo il possesso di noi stessi e del mondo perduto col peccato e, dall’altra, noi siamo possesso di Cristo in quanto comprati appunto – per sua sola misericordia – al caro prezzo di colui che ha svenduto se stesso per farci ricchi di questa sua povertà: “Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (Vs. Alleluiatico).

Questo significa allora che nulla noi possiamo presumere su tutto quanto abbiamo in Cristo recuperato. Giustamente quindi san Paolo ci ricorda che questo riscatto è dovuto solo all’agire di Dio in Cristo e che nessun uomo del mondo può pretendere alcunché di quanto abbiamo ricevuto, ma anche che nessun uomo nella Chiesa può farsi padrone di questo gratuito tesoro, ma solo richiamarci a farne buon uso:

, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1 Cor 3, 21-22).

Quindi tutto è nostro, come già nella creazione fu stabilito (“Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse”, Gen 2, 15), ma questo tutto, poi perduto, diventa tale solo se noi siamo di Cristo, lui che ci insegna ad amministrare con onestà quanto con il suo sangue ci ha restituito. Ecco perché noi mentre viviamo in questo mondo dobbiamo farci “amici con la ricchezza disonesta”, disonesta non per malaffare, ma perché guadagnata per noi da Cristo, così che essa diventa onesta solo quando viviamo ogni nostro bene spirituale o materiale secondo il disegno buono di Dio per cui tutto ci è stato prima affidato e poi restituito. Questa disonesta ricchezza non significa dunque – ripetiamolo – che essa è stata arraffata con l’inganno o la violenza o altri mezzi più che discutibili, come invece oggi più che mai fa il globalismo finanziario, il quale non riconoscendo affatto la prima disonestà dei suoi averi ne introduce un’altra che, questa sì, è profondamente immorale con le conseguenze disastrose che tutti abbiamo sotto i nostri occhi. 

Tutto questo dice comunque che anche noi ogni volta siamo messi di fronte ad una precisa scelta perché “nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza” (ma qui si tratta della ricchezza considerata non solo sul piano economico, ma come proprio vero dio, cioè Mammona [μαμωνᾷ]; ecco perché più giustamente la CEI 1974 sulla scorta della Vulgata traduce alla lettera questo termine).

Più ci riconosciamo dunque disonesti, più ciò che siamo, viviamo ed abbiamo diventa onesto, cioè indirizzato al vero destino, e non offerto invece in sacrificio cruento e sanguinolento (ma di ben altro sangue che quello di Cristo qui purtroppo si tratta!) alla voracità del dio Mammona che è la divinità del solo interesse ed utile, sul cui altare i grandi sacerdoti della finanza celebrano quotidianamente il lucro dei loro riti e che per questo sono giustamente denunciati e, come Dio vorrà, anche castigati: “Il Signore mi disse: «Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese, voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo l’efa e aumentando il siclo e usando bilance false, per comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali? Venderemo anche lo scarto del grano”». Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: «Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere»”.

Siamo quindi invitati ad usare come “figli della luce” lo stesso metodo che usano “i figli di questo mondo” con esito ovviamente opposto: le “dimore eterne” della beatitudine celeste invece che le dimore eterne dell’infelicità infernale perché “se … non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?”. 

Ma siamo anche invitati a pregare Dio perché chi più di altri è soggetto alla tentazione della duplice disonestà possa convertire mente e cuore a progetti di pace e non di guerra: “Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità”.

Diversamente, e lo stiamo vedendo, la guerra scatenata dai potenti asserviti al globalismo finanziario, non rimane mai solo di carattere economico, perché se produco armamenti li devo pur vendere e come faccio se nessuno li usa? Mammona lo esige! E così, come nell’amaro film di A. Sordi, accade che “Finché c’è guerra c’è speranza”.

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