Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Spencer Kashmanian, pubblicato su Crisis magazine. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella traduzione da me curata. 

 

Charlie Kirk (foto di Gage Skidmore da Wikimedia commons)
Charlie Kirk (foto di Gage Skidmore da Wikimedia commons)

 

Le reazioni sono iniziate non appena è stato sparato il colpo alla Utah Valley University. Molti esponenti della sinistra hanno crudelmente festeggiato la morte di Charlie Kirk senza pensare alla moglie e ai due figli.

A destra, molti si sono affrettati a lodarlo come martire della libertà di parola e del dibattito civile.

Sebbene queste lodi siano ben intenzionate, dobbiamo andare ben oltre.

In netto contrasto con la cultura della cancellazione della sinistra, l’impegno di Charlie a favore di un dibattito aperto sulle questioni più importanti della nostra società era coraggioso e ammirevole. Ma ricordarlo principalmente come un paladino del dibattito civile significa onorare lo strumento ignorando il tempio che stava costruendo.

Charlie non è stato assassinato perché difendeva il libero scambio di idee. È stato ucciso perché era un coraggioso cristiano conservatore, dotato di un talento unico nell’esprimere opinioni radicate in migliaia di anni di tradizione.

Egli invitava il suo pubblico alla fede in Gesù, alla saggezza delle Scritture e della civiltà occidentale, e alla convinzione conservatrice che esiste un ordine morale oggettivo al quale tutti dobbiamo sottometterci, con il corpo e con l’anima. C’è un Dio delle Nazioni al quale l’uomo deve inginocchiarsi.

Queste opinioni sono ancora sostenute dai conservatori mainstream in tutta l’America, ma gli alti sacerdoti del progressismo che abitano la maggior parte delle nostre istituzioni d’élite le hanno ritenute blasfeme.

L’organizzazione per cui lavoro, l’Intercollegiate Studies Institute, educa ogni anno migliaia di studenti universitari ai principi e alle virtù che hanno formato la nostra nazione e che Charlie ha difeso. Anche i nostri leader studenteschi e i nostri relatori hanno subito violenze e minacce per aver organizzato eventi che sfidano le ortodossie progressiste nei campus. Grazie al mio lavoro, una volta ho avuto l’opportunità di trascorrere un’ora in discussione con Charlie.

Tuttavia, al di là di quell’incontro personale, la morte di Charlie mi ha colpito ancora più da vicino.

Mia moglie ed io abbiamo visto i post sui social media delle persone della nostra cerchia, compresi i parenti: gli scherni, gli applausi ironici e persino le celebrazioni esplicite della sua morte. Ci siamo posti una domanda inquietante: cosa ci stanno dicendo queste persone? Se pensano che le opinioni di Charlie fossero odiose, razziste, transfobiche e fasciste, allora pensano che lo siano anche le nostre. Condividiamo gran parte di ciò che lui sosteneva, insieme a milioni di nostri concittadini.

Stiamo crescendo i nostri figli affinché diventino cristiani e conservatori coraggiosi che abbracceranno gran parte di ciò che lui rappresentava.

Non ho il talento o la piattaforma di un Charlie Kirk. Ma quando le persone della nostra comunità insinuano che il mondo è migliore senza Charlie a causa di ciò che predicava, o che ha avuto ciò che si meritava, stanno strizzando l’occhio a un mondo migliore anche senza di noi. Je suis Charlie, davvero.

Il tempo guarirà alcune delle ferite causate da questa tragedia. Nelle nostre comunità e famiglie, potremo stringere nuovamente la mano e “accettare di non essere d’accordo” quando le tensioni si saranno placate. Ma nella migliore delle ipotesi, si tratterà di una tregua precaria. Non durerà.

Non durerà perché ha un costo troppo alto. Possiamo mantenere la pace solo finché ci asteniamo dal dirci la verità. Eppure l’amore esige che diciamo la verità.

Dopo tutto, il dialogo non è fine a se stesso. Vogliamo vivere rettamente. E per decidere come vivere rettamente, dobbiamo essere in grado di chiamare una buona azione una buona azione e un peccato un peccato. Dobbiamo essere in grado di parlare di amori ordinati e amori disordinati. Dobbiamo distinguere la verità dalla menzogna.

Charlie lo capiva. Durante un evento nel campus, quando gli fu chiesto cosa rappresentasse Gesù, Charlie una volta disse al suo pubblico:

A volte nel Vangelo moderno enfatizziamo troppo la grazia e sottovalutiamo la verità… Cristo non è solo incentrato sulla grazia. È contemporaneamente incentrato sulla verità. … Immaginate quanti problemi avreste oggi se vi avvicinaste a qualcuno e gli diceste: smettila di peccare. Beh, state giudicando troppo. No, no, in realtà state agendo come Cristo. … Cristo ci ama troppo per permetterci di continuare a vivere nel peccato…

Il dibattito civile è un buon mezzo. Ma non è il fine. Il fine è nientemeno che la totale sottomissione alla verità: l’obbedienza a Dio.

La libertà di parola e il mercato delle idee non producono martiri. La fede sì. Come tutti i martiri, Charlie alla fine è morto per la sua fede.

Quelli di noi che credono nella stessa visione che aveva lui dovrebbero rinnovare il proprio impegno e proclamarla più forte che mai. Nella nostra cerchia di colleghi, amici e conoscenti, dovremmo insistere non solo sull’importanza del dialogo, del dibattito e dell’andare d’accordo, ma anche sulla verità di ciò in cui crediamo. L’amore lo esige.

“Beati coloro che sono perseguitati per amore della giustizia”. Per la maggior parte di noi, questo non significa proiettili. Significa persecuzioni più sottili: essere silenziosamente messi sulla lista nera per certi lavori; essere ignorati dai vecchi amici; o ricevere messaggi che implicano che il mondo sarebbe migliore senza di te, messaggi inviati o condivisi anche dalle persone che ami.

Charlie ha pagato il prezzo più alto. La sua morte non dovrebbe renderci meno fiduciosi nella verità, ma più consapevoli del suo costo.

Spencer Kashmanian

 

Spencer Kashmanian è capo di gabinetto presso l’Intercollegiate Studies Institute, marito e padre cattolico. Si è laureato in Politica, Filosofia ed Economia presso il King’s College di New York City.

 


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