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C’è un modo per comunicare che non comprende l’urlare o dire bugie

Concepire il silenzio come parte della comunicazione mediatica è fondamentale; una comunicazione che si ferma e resta in attesa di una verità narrata
C’è un modo per comunicare che non comprende l’urlare o dire bugie
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di Francesca Carone*

In questo momento storico dove la barbarie mediatica insidia e fomenta l’opinione pubblica, dove la libertà di espressione viene confusa con l’incitamento all’odio e alla violenza. Dove la pericolosa miscellanea di idee politiche trova sfogo e riflesso nelle propagande retrodatate e fortemente disconnesse dai valori sociali e culturali fondati sulla democrazia e sulla civile convivenza tra esseri umani, siano essi ricchi o poveri, istruiti o ignoranti, credenti o atei. In questo frangente tutto confluisce nel tritatutto mediatico che assolve o condanna in tempo reale. Minaccia o uccide (virtualmente), insulta o elogia. Odia o ama attraverso lo scrollamento del cellulare nel tempo di un micro secondo.

Tutti parlano, tutti giudicano (spesso) per sentito dire. Tutto diventa virale: una frase, un’espressione, un’apparizione in TV, una critica, uno scandalo.
Blogger, tik-toker, youtuber diventano paladini della difesa o dell’accusa, inseguono l’evento virale e lo modellano in base a idee e valori propri lanciandolo nell’agone del web, aspettando consensi e scongiurando insulti e parolacce.

Poi ci sono i mediatori virali quelli noti, osannati in rete perché urlano ed hanno capito che l’urlo è il canale preferito della propaganda più becera maneggiata e rimaneggiata per ottenere consensi e annoverare adepti.

Non mancano poi i famosi “mediatori” di rete che non urlano. Ma parlano in modo quasi messianico, ammiccando come fossero al tavolo di un caffè romantico con outfit impeccabile, trucco e parrucco e luci giuste come in un set per esaltare l’eventuale colore degli occhi e l’espressione cinematografica da improbabile vip, profanando altresì espressioni rubate da libri o carpite da intellettuali per far breccia nel cuore del “mediato” spuntando l’agognato like.

Tutto fa brodo per i mediatori virali: una parola, un’intervista, una foto, un video, uno slogan, un evento o un dibattito politico, notizie di cronaca nera e rosa. Sono sempre sul pezzo, sempre presenti, sempre visibili per spargere la loro cenere nella grande giostra mediatica.

In questo scenario di tossica e nefasta continuità, il linguaggio lieve ed educato diventa elemento di preziosa discontinuità che bonifica le paludi maleodoranti dello scoop mediatico che nasconde e teme.

L’attenzione alla “parola”, al “linguaggio”, alla semantica, alla sonorità, all’espressività comunicativa rappresentano il biglietto da visita di una informazione mediatica plurale, efficace, “lieve”, corretta e democratica. La bellezza del linguaggio e la sua espressività rappresentano la sfida all’affollamento mediatico urlato, aggressivo e bugiardo, favoleggiato dai detrattori virali che dicono tutto e il contrario di tutto in nome di popolarità e denaro, palesando in modo maldestro e cabarettistico sicurezza e genialità, sapere e intelletto a volte enfatizzati da una fisicità studiata a tavolino.

Veicolare l’informazione, la conoscenza e il sapere attraverso la forza di un linguaggio sobrio, silenzioso, aperto, rispettoso e veritiero vuol dire mettersi al servizio di una comunicazione libera, che non promette niente, che procede a passi felpati per non ferire. Un linguaggio empatico e consapevole capace di rappresentare la verità.

Il ruolo mediatico dei leader politici, degli intellettuali, degli storici, della scuola è fondamentale nella misura in cui il rilancio comunicativo sia da essi costruito attraverso un linguaggio attento e consapevole all’interno di narrazioni slegate da qualsiasi propaganda; aderente ai valori del rispetto, della verità e della critica costruttiva che offra solidi punti di riferimento all’opinione pubblica, sempre più in balìa di aggressive e conflittuali tempeste linguistiche che accecano, sconvolgono e annebbiano la verità.

Concepire il silenzio come parte della comunicazione mediatica è fondamentale; una comunicazione che si ferma e resta in attesa di una verità narrata con sobrietà e consapevolezza, rispettosa della collettività, veicolata dai valori del rispetto e del pluralismo.

In questo contesto di divulgazione attiva qualsiasi evento, qualsiasi frattura politica o sociale non potrà mai subire i contraccolpi pericolosi della propaganda, celata nelle narrazioni false e speculative degli pseudo-comunicatori attratti dai like piuttosto che dalla verità. Tutto sarebbe moderatamente narrabile all’interno di una comunicazione basata sul rispetto e, a volte, anche sul silenzio.

Sarebbe auspicabile che ogni evento sociale e politico di qualsiasi entità e natura trovasse la sua cassa di risonanza in un linguaggio mediatico attento e rispettoso della verità per il bene della collettività. L’attentato crudele perpetrato ai danni dell’attivista Charlie Kirk che in questi giorni risuona rumoroso, cupo e vendicativo nei social attraverso video, commenti e post che condannano o assolvono senza mezze misure, che odiano o difendono a prescindere, è la chiara testimonianza che la comunicazione è sempre più profanata e soggiogata dagli attori mediatici in cerca di celebrità e consenso.

È in questo preciso momento che il linguaggio deve assolvere al compito più importante: disinnescare, mediare, narrare con rispetto, senza giudizio di condanna o assoluzione. Un linguaggio capace di comunicare anche attraverso il silenzio, l’attesa, la riflessione. E in quel silenzio saper poi comunicare la verità attraverso i paradigmi del rispetto e dei valori, senza accusare e senza assolvere.

*insegnante

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