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Chiara, Marta e le altre: crescere figli da sole in Italia

Casa della mamma
Casa della mamma 

Quando Chiara la sera esce per una passeggiata con gli amici, sono le sue coinquiline a prendersi cura del figlio piccolo. È uno scambio reciproco: a turno toccherà a tutte approfittare dell’aiuto delle altre per crescere i propri bambini. Marta ha potuto accettare quel posto di lavoro solo perché le ragazze badavano ai suoi Federico e Giulio, di tre e sei anni, mentre lei era intenta a rammendare e cucire abiti per la sartoria dove è impiegata.

Nella casa dove abitano, a pochi passi dal Policlinico Umberto I di Roma, di coinquiline negli anni se ne sono alternate a centinaia. Sono tutte ragazze, hanno tutte tra i 16 e i 22 anni. E sono tutte madri di figli piccoli. Si trovano qui per volontà del Tribunale di minori, per garantire la loro sicurezza e stabilità, a causa di una situazione familiare non adatta a garantire il benessere della madre e del bambino.

Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Istat, in Italia ci sono 2,7 milioni di famiglie monogenitoriali, pari al 10,4% del totale. La grande maggioranza – circa 2,2 milioni – è composta da madri sole, mentre i padri single rappresentano poco più del 18%. Un fenomeno in crescita, che nei prossimi vent’anni porterà a oltre 3 milioni di nuclei monogenitoriali, con un aumento significativo anche dei padri soli, ma che continuerà a riguardare soprattutto le donne. La fragilità economica di queste famiglie è evidente: se il 23,1% della popolazione italiana è complessivamente a rischio povertà o esclusione sociale, la percentuale sale al 32,1% tra i nuclei monogenitoriali e addirittura al 41,3% quando si tratta di madri con figli minori. In confronto, per le coppie con figli il rischio si ferma al 21,2%.

“Il problema più grande non è dentro, ma fuori. Anche con un lavoro regolare, trovare un affitto a Roma è quasi impossibile per una donna sola con figli. A volte le proprietarie rifiutano a prescindere, nel timore che possano essere inadempienti, racconta Lucia Di Mauro, appassionata direttrice della Casa della Mamma, storica realtà nata a Roma nel 1969 dall’intuizione di Paola Spada, una donna che non accettava l’idea che le madri non sposate dovessero essere allontanate dai figli. All’epoca i bambini venivano mandati negli istituti e le madri erano stigmatizzate. Spada sosteneva invece che la maternità fosse una responsabilità sociale e iniziò ad accogliere mamme e bambini a casa propria. La gestione della casa famiglia dagli 90 fino a qualche anno fa è poi passata a Carla Guerra.

La struttura oggi è una casa famiglia che accoglie giovani donne con i loro bambini, tra loro anche Chiara, Marta, Federico e Giulio. Qui si costruiscono percorsi di autonomia, che passano dall’istruzione all’inserimento lavorativo, fino a progetti abitativi temporanei Ma la sfida, spiega Di Mauro, è di lunga durata: “Una mamma con 1.200 euro di stipendio non riesce a vivere in autonomia. Eppure abbiamo ragazze che ce l’hanno fatta, che dopo un periodo qui hanno trovato la loro strada.

Chiara è stata cacciata di casa dopo la nascita di Lorenzo, e oggi che suo figlio e sua sorella hanno età simili, osserva su madre con la consapevolezza di essere un genitore migliore di lei. Lo è diventata grazie a un percorso lungo, dal quale spesso ha desiderato di sottrarsi. A 17 anni, l’età in cui è entrata nella struttura, non è facile iniziare ad accettare delle regole che non ti erano mai state imposte prima: orari in cui rincasare, la tua camera da riordinare, il cibo sano da mangiare, i compiti da studiare. Il primo anno l’ha trascorso per buona parte chiusa in camera, con il cappotto addosso, pronta ad andare via. Poi la paura di perdere Lorenzo ha cominciato a responsabilizzarla. È stata lei a far ragionare Giulia, che dalla struttura, per un giorno, era scappata per davvero. 

Le norme per aiutare le madri single ci sono, ma spesso non bastano. L’avvocato esperto di diritto di famiglia Marco Santini sottolinea come l’Italia preveda “molte forme di sostegno, dall’assegno unico universale con maggiorazioni per le madri single al bonus bebè legato all’ISEE, fino alle detrazioni fiscali e ai contributi comunali”. Non mancano nemmeno agevolazioni abitative e precedenze nei concorsi pubblici, mentre diverse aziende stanno ampliando lo smart working e l’accesso al congedo parentale. Tuttavia, avverte Santini, “il vero problema rimane la burocrazia: bandi poco conosciuti e procedure troppo complesse finiscono per escludere chi avrebbe più bisogno”.

Sul fronte legislativo, alcune novità sono arrivate con la legge di bilancio 2025. L’avvocata Laura Gaetini, anche lei esperta di diritto di famiglia, spiega che è stato introdotto “un assegno una tantum da mille euro per ogni figlio nato o adottato dal primo gennaio 2025, riservato a chi ha un ISEE inferiore a 40mila euro”. È stato inoltre ampliato il congedo parentale, con due mesi aggiuntivi retribuiti all’80% da utilizzare entro il sesto anno di vita del bambino, e allargata la decontribuzione anche alle lavoratrici autonome sotto i 40mila euro di reddito annuo. Resta attivo anche il bonus nido, fino a un massimo di 3milaeuro annui. “L’obiettivo è semplificare l’accesso e ampliare i beneficiari”, chiarisce Gaetini.

Se le misure economiche cercano di tamponare le difficoltà, i dati sul lavoro restano impietosi. Secondo il report “Le Equilibriste” di Save the Children, l’Italia è al 96° posto su 146 Paesi per partecipazione femminile al mercato del lavoro e al 95° per gender gap retributivo. La cosiddetta child penalty fotografa bene la situazione: mentre il 91,5% degli uomini diventa occupato dopo la nascita di un figlio, tra le donne la quota scende al 62,3%. Una madre su cinque lascia il lavoro dopo il parto, una percentuale che sale al 35% se si tratta di figli con disabilità. Le dimissioni volontarie, concentrate nei primi tre anni di vita del bambino, coinvolgono quasi sempre le madri: nel 96,8% dei casi la scelta è dovuta a difficoltà di conciliazione tra lavoro e cura.

Dietro i numeri ci sono i volti di donne che cercano un futuro diverso per sé e per i loro figli. Alla Casa della Mamma si sperimentano percorsi personalizzati: c’è chi, come Chiara e il piccolo Lorenzo, ha imparato a conquistare spazi di autonomia attraverso un lavoro in un B&B, e ci sono ragazze di 14 anni che scelgono di continuare a studiare. “Il lavoro è al centro del nostro progetto”,spiega Di Mauro, “non solo per il reddito, ma come strumento per riscrivere la loro vita. Non tutte le storie hanno un lieto fine. Alcune madri non ce la fanno e devono rinunciare ai figli. Ma altre riescono a costruire una vita indipendente. E se la questione abitativa resta “la più difficile di tutte”, come ribadisce la direttrice, la rete di sostegno – fatta di educatori, volontari e istituzioni – continua a offrire una speranza concreta.

I numeri dell’Istat e i dati di Save the Children convergono su un punto: essere madre sola in Italia significa vivere con un rischio di povertà doppio rispetto alle coppie con figli e con prospettive lavorative più incerte. Eppure, tra burocrazia e misure parziali, molte tutele restano difficilmente accessibili. Per Santini “serve una maggiore pubblicità delle misure esistenti, perché troppe madri non sanno nemmeno di poterne usufruire”. Gaetini ricorda che “la direzione intrapresa è quella di ampliare la platea dei beneficiari”, ma il cammino è ancora lungo.

Intanto, nei centri come la Casa della Mamma, la quotidianità mostra che le difficoltà non sono solo numeri statistici, ma vite da ricostruire: ragazze giovanissime, donne con lavori precari, mamme respinte dal mercato immobiliare. “Non ci sostituiamo alle madri”, conclude Di Mauro, “ma le accompagniamo a diventare autonome. Perché solo una mamma che sta bene può far crescere bene anche suo figlio”.

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