Il Punto – Si muore nel silenzio

I palestinesi sono soli, entriamo nel giorno 1.303 dall’invasione russa in Ucraina, e altrove, si muore nel silenzio dei media.

Di Raffaele Crocco

Mentre centinaia di migliaia di persone sono in fuga e l’esercito israeliano avanza, inesorabile, verso il centro di Gaza City e verso la conquista definitiva di quel territorio, a fare notizia è il continuo e immobile silenzio del mondo islamico musulmano. Stretto nella morsa dei propri interessi e della propria debolezza, schiacciato – probabilmente – dalle esigenze del Risiko Mondiale, con la sua richiesta di alleanze e strategie, il mondo islamico musulmano affronta l’annientamento dei “fratelli palestinesi” come ha sempre fatto: con sostanziale indifferenza e molta ambiguità.

Certo ci sono le eccezioni, come gli sciiti Houthi dello Yemen, scesi in guerra per aiutare i sunniti di Gaza. Ma la realtà politica è scritta a caratteri di fuoco nel fiacco vertice d’emergenza convocato a Doha, per rispondere al bombardamento israeliano di dieci giorni fa. Ricordiamolo: la capitale del Qatar era stata colpita da Tel Aviv, con l’obiettivo di annientare i vertici di Hamas che erano riuniti lì. Un atto grave, un attacco deliberato ad un Paese sovrano in barba ad ogni legge e accordo internazionale. Come spesso accade, il governo israeliano ha avuto ragione. Non c’è stata reazione, non c’è stato alcun pericolo. La sessione congiunta straordinaria tra la Lega Araba e l’Organizzazione per la Cooperazione Islamica (OCI) ha riunito quasi 60 Stati membri. Ci sono stati grandi discorsi, grandi accuse a Israele. I capi di Stato ci hanno tenuto a precisare che “l’incontro ha segnato un momento cruciale per trasmettere un messaggio unitario contro l’escalation senza precedenti da parte di Israele”. Parole che non modificano di un centimetro la situazione e che non spingono la comunità internazionale ad intervenire davvero e fermare il massacro e l’annientamento dei palestinesi. Troppi gli interessi in ballo per spingersi più in là. Troppi gli affari in corso proprio con Israele e con gli Stati Uniti. Ovvio: questo non esclude che ogni Stato cerchi di provvedere alla propria difesa. Lo dimostrano Arabia Saudita e Pakistan, Paese dotato di armi nucleari. In settimana, hanno firmato un patto formale di difesa reciproca. Una mossa che rafforza significativamente una partnership di sicurezza che dura da decenni e che lancia, comunque, segnali chiari a Tel Aviv.

I palestinesi sono soli, questa è la realtà. Affrontano a mani nude e con la pancia vuota le bombe israeliane e i tank che vogliono conquistare la “nuova terra promessa” degli israeliani. Esemplare la frase del ministro delle Finanze di Tel Aviv, il fascista teocratico Bezalel Smotrich. Nel dibattito su cosa accadrà una volta terminata l’azione militare israeliana, è intervenuto definendo la Striscia una “Eldorado immobiliare”. Lo ha detto durante un convegno. Ha parlato di un progetto dell’amministrazione Trump, con un “business plan costruito dalle persone più professionali che ci siano”. Il progetto sarebbe  sul tavolo del presidente degli Stati Uniti e si sta verificando “come questa cosa possa diventare un Eldorado immobiliare, che  si ripaga da sola”.

E mentre questo accade, qualcosa si muove in Europa. L’Unione Europea, attraverso l’Alto rappresentante per la Politica estera,  Kaja Kallas, propone per la prima volta sanzioni non solo contro Hamas, ma anche contro Israele, alcuni ministri del governo Netanyahu e i coloni più violenti. Si propone anche di interrompere alcune parti dell’Accordo commerciale con Tel Aviv. Ora saranno i singoli Paesi a decidere, ma si tratta della prima vera reazione unitaria dell’Europa alla tragedia in corso.  Una reattività che resta tardiva per Gaza, ma che continua ad essere viva e presente per l’Ucraina. Nel giorno 1.303 dall’invasione russa, l’Unione Europea ha deciso di aprire a Kiev una sede di rappresentanza permanente del proprio Parlamento.  Lo ha annunciato Roberta Metsola, presidente dell’Eurocamera, parlando alla Rada, il parlamento monocamerale ucraino. “Vogliamo essere presenti sul campo, lavorando al vostro fianco ogni giorno. Questo era il nostro impegno nei vostri confronti e lo abbiamo mantenuto. La nostra posizione è chiara: la pace deve essere permanente, deve basarsi sulla giustizia e sulla dignità”. Intanto, l’esercito russo avanza lentissimo, ma inesorabile ogni giorno in tutti i settori del fronte. I combattimenti più intensi sono nella zona di Krasnoarmeysk, con gli ucraini che tentano disperatamente di fermare l’offensiva.

Offensiva che è anche politica: il presidente russo Putin ha dichiarato che ora la “guerra è globale”,  dopo il lancio di missili americani e britannici Atacms e Storm Shadow contro il territorio russo. “Siamo pronti a qualsiasi scenario – ha detto Putin -, abbiamo il diritto di colpire obiettivi dei Paesi che hanno fornito armi a lungo raggio a Kiev”. Sul piano pratico, la Russia ha colpito subito Dnipro con un nuovo missile balistico e ha avviato cinque giorni di grandi manovre congiunte alla Bielorussia ai confini con la Nato. Almeno centomila gli uomini impegnati.

Altrove, si muore nel silenzio dei media, almeno quelli italiani. Le Nazioni Unite stimano che in Sudan almeno 40.000 persone siano state uccise dal 2023 ad oggi nella guerra tra le Forze Armate Sudanesi (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF) paramilitari. Quasi 13milioni sono gli sfollati. Ora sul tavolo c’è una proposta di pace firmata e mediata da Stati Uniti, Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. È stata pubblicata la scorsa settimana,  ma il suo futuro appare già incerto.

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