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L’America non c’è più (e non da oggi) – con un’intervista a Giovanni Mari

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Charlie Kirk rischia di diventare, in America, ciò che Horst Wessel divenne, quasi un secolo fa, nella Germania ormai prossima a consegnarsi al nazismo. Horst Wessel era un ragazzo di ventitré anni, un fervente militante nazionalsocialista (autore dell’inno che sarebbe diventato l’inno ufficiale dello NSDAP prima e della Germania hitleriana poi), che nel 1930 venne assassinato da Albrecht Höhler. Göbbels colse la palla al balzo e, da quel momento in poi, ne approfittò per accentuare la deriva messianica del partito nazista e la persecuzione nei confronti di ogni oppositore. Ora, Trump non è Hitler, d’accordo, ma il clima che sta creando negli Stati Uniti, paese peraltro armato fino ai denti, non è poi così dissimile. E quando sento qualche esponente politico italiano che si permette di rievocare gli Anni di piombo, di accusare l’opposizione di brigatismo o giù di lì e di lasciarsi andare a un vittimismo fuori luogo e fuori dalla realtà, in quel preciso momento viene meno lo Stato di diritto. Perché lo Stato di diritto si basa sul principio in base al quale la legge è uguale per tutti e la libertà d’espressione è sacra, e questo principio nell’America di Trump è venuto meno da tempo e da noi è messo sempre più a repentaglio. Non a caso, un grande cronista come Jim Acosta, corrispondente della CNN dalla Casa Bianca, nel 2019 scrisse un libro dal titolo emblematico: “Il nemico del popolo”, sottotitolo: “Un momento pericoloso per dire la verità in America”. All’epoca, il trumpismo era ancora nella sua fase ascendente, durante la prima presidenza e prima dell’assalto a Capitol Hill, ma era tutto già chiarissimo. Infatti Acosta affermò: “Avevo soltanto posto una domanda. Sono un giornalista, è questo il mio lavoro. E, mentre la stampa era sotto attacco durante la campagna del 2016, avevo detto a me stesso: il mio compito è fare domande ai funzionari di governo e, come recita l’antico detto, chiedere la verità ai potenti. Dopo l’elezione di Trump, però, era presto apparso evidente che la missione della stampa era molto più grande: dovevamo lottare per ottenere la verità perché, tutt’a un tratto, l’informazione era diventata un campo di battaglia. Per anni avevamo svolto il nostro lavoro partendo dal presupposto che certi fatti e verità sono universali; con questa amministrazione, non era più così. Qualsiasi cosa veniva ormai messa in discussione. Volevo mettere in chiaro che potevano attaccarci quanto volevano, potevano affibbiarci i nomi che volevano, ma noi avremmo comunque cercato la verità. E, una volta sicuri di averla trovata, avremmo diffuso la notizia. Non fake news, ma notizie vere”.

Credits photo Jimmy Kimmel account X

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