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Gaza, se un video aiuta il mondo a “restare umano”

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Da giorni, guardo e riguarda il video del bimbo in fuga da Gaza con la sorellina sulle spalle, consapevole della delicatezza e dell’etica che il mio mestiere richiede. Come giornalista, la deontologia professionale mi impone di rispettare l’etica nei confronti dei minori, come prescrive la Carta di Treviso.  La salvaguardia della dignità delle vittime del massacro iniziato in Palestina dopo il 7 ottobre, soprattutto dei più piccoli, è da sempre un dovere, per questo ero restia a pubblicarlo. Non si tratta di censura, ma di rispetto umanitario: un buon giornalismo non dovrebbe mai “usare” i minori per raccontare la brutalità del mondo, sfruttare l’immagine di un bambino per fare sensazionalismo.
Ma ci sono momenti in cui le parole non bastano, e il silenzio diventa un peso insopportabile.
Quella frase, “definisci ‘bambino”,  mi sta orbitando da giorni nella testa e nessuna risposta vale più di quei pochi fotogrammi del bimbo con al collo la sorellina diventati virali.
Purtroppo, a Gaza l’umanità è morta. È stata trucidata con oltre 60 mila innocenti uccisi da chi sceglie la violenza e il dolore come strumenti di potere. E in questa devastazione, i bambini sono le vittime più vulnerabili, le cui vite vengono ruttenute e annientate senza pietà.
Restare umani è la nostra prima e più difficile responsabilità. Prima di essere giornaliste, siamo donne, madri, esseri umani con un cuore che batte per la compassione e l’empatia. Ricordare che dietro ogni statistiche, ogni immagine, ci sono persone, ci sono soggetti di una dignità inalienabile. La brutalità che si vede e si ascolta a Gaza ci chiama a una scelta fondamentale: mantenere intatta la nostra umanità di fronte alla crudeltà, altrimenti tutto diventa possibile, anche perdere la nostra stessa essenza.
Non dobbiamo permettere che la paura, la rabbia o il disinteresse ci portino a tollerare l’indicibile. È nostro dovere, come esseri umani e come cittadini del mondo, difendere la dignità e i diritti di tutti – in particolare dei più piccoli, che non hanno nessuna colpa e che pagano il prezzo più alto di questa guerra atroce.
L’umanità, quella che dovrebbe unire tutti noi, sembra spesso scomparire sotto il peso delle atrocità. Ma è fondamentale recuperarla, coltivarla, scommettere sulla nostra capacità di empatia e solidarietà. Solo così possiamo sperare in un futuro in cui “bambino” non sia più sinonimo di innocenza violata, ma di speranza e rinascita.
Restiamo umani, come invocava il caro e indimenticato Vittorio Arrigoni, perché questa è la vera battaglia da vincere.

 


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